Il Chimaera è stato scoperto dai medici del Ca’Foncello

Isolato per la prima volta a Treviso nel 2016 su un infettato operato a Vicenza
AGOSTINI AG.FOTOFILM TREVISO OSPEDALE CA' FONCELLO
AGOSTINI AG.FOTOFILM TREVISO OSPEDALE CA' FONCELLO

È stata la Microbiologia di Treviso a scoprire per prima in Italia il batterio killer che ha ucciso sei persone in Veneto e ne ha infettate altre 18. Il primo Mycobacterium Chimaera è stato isolato al Ca’ Foncello a inizio 2016 su un paziente operato al cuore nel Vicentino. A quel punto è scatta l’allarme nazionale.

LA SCOPERTA

«Per la prima volta nel 2016 abbiamo dato nome e cognome al germe che si annida nei serbatoi d’acqua dei macchinari per la circolazione extra corporea (ecmo)», spiega Roberto Rigoli, primario di Anatomia Patologia dell’Usl 2. «Insieme ai colleghi di Padova, abbiamo provveduto a segnalare il caso al Ministero della Salute, alla Regione e alla comunità scientifica internazionale. Era la prima volta che avevamo un riscontro tutto italiano del germe, mentre in Svizzera e Usa c’erano state già delle evidenze», aggiunge l’esperto.

IL SECONDO CASO

Di lì a pochi mesi, nel novembre 2016, il secondo caso, questa volta tutto trevigiano, che attesta la presenza del pericoloso batterio nella Cardiochirurgia del Ca’ Foncello. Il paziente è Gianni De Lorenzi, ex assessore di Nervesa della Battaglia. L’uomo si era sottoposto nel 2011 a un intervento a cuore aperto. «Il decorso post-operatorio era stato assolutamente normale, nessuna possibile percezione del problema. Ma ciò si spiega con la lunga incubazione del batterio, nel caso del nostro paziente è stata di cinque anni», spiega Giuseppe Minniti, primario di Cardiochirurgia dell’Usl2. I primi sintomi si manifestano nel 2016: a luglio viene diagnosticata una endocardite (infiammazione del rivestimento cardiaco) quattro mesi dopo, viene accertata la presenza del Chimaera. «Lo abbiamo identificato perché eravamo dotati degli strumenti per cercarlo e trovarlo nel sangue», sottolinea Rigoli.

scatta l’allarme

«Dal 2014 facciamo le emoculture per individuare la presenza del batterio. Quando abbiamo individuato il caso trevigiano ci siamo attenuti al protocollo, segnalandolo a Regione e Ministero», spiega il direttore generale dell’Usl 2 Francesco Benazzi. A quel punto scatta l’allarme dentro al Ca’ Foncello e non solo. Al paziente De Lorenzi viene somministrata una terapia antibiotica, seguirà un nuovo intervento ma le sue condizioni degenerano fino alla morte. Intanto, all’ospedale di Treviso, arrivano gli ispettori inviati dalla Regione e nella Cardiochirurgia si procede alla disinfestazione. Il presunto macchinario contaminato, prodotto dalla ditta LivaNova, viene inviato in Germania per accertamenti, ma l’attenzione sui dispositivi ecmo non era cosa nuova.

L’alert sui macchinari

«La sanificazione è stata sempre effettuata seguendo i protocolli operativi dell’azienda produttrice, dal 2015 la LivaNova li ha modificati 4 volte», sottolinea Minniti, «ci siamo progressivamente adeguati fino a far modificare strutturalmente i nuovi macchinari dalla ditta. Abbiamo creato gli ambienti idonei per eseguire la disinfezione ordinaria delle macchine, dato che bisogna adoperare materiali potenzialmente tossici per gli operatori, fornirsi di kit per fare la verifica della presenza del germe e progettare delle modifiche strutturali delle sale operatorie. Il Veneto ha maturato una grande esperienza in questo campo che ora, può essere presa a modello anche dalle altre cardiochirurgie d’Italia».

Valentina Calzavara



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