Il bar, la briscola e l’ombra di bianco: in provincia di Treviso il caso che somiglia a Vo’

CONEGLIANO. Il bar, la briscola e l’ombra di bianco, la vita di sempre interrotta da un nemico invisibile arrivato da molto lontano. L’anello di congiunzione tra il virus di Wuhan e il paese di San Fior settemila abitanti ai piedi delle colline, tagliato in due dalla Napoleonica, la strada Pontebbana, resta ad oggi un mistero. Il morbo colpisce in silenzio alla sinistra del Piave e nelle ultime ore ha mandato in ospedale 47 persone, 13 sono state accolte a Vittorio Veneto, 23 ricoverate all’ospedale di Conegliano mentre altre 11 lottano in terapia intensiva. «Per ora stiamo reggendo, nonostante il grande flusso di pazienti che richiedono di essere ospedalizzati, ma tutto fa pensare che la pressione dei ricoveri aumenti nelle prossime ore, e il picco non è stato ancora toccato» evidenzia una fonte ai piani alti dell’Usl 2. Ma bisogna guardare anche oltre l’orizzonte di questa terra di mezzo, sospesa tra Veneto e Friuli.
In provincia di Pordenone, nella piccola Caneva, 9 abitanti positivi, 2 in rianimazione, nonché una persona deceduta a Sacile. La maggior parte di queste diagnosi Covid-19 è riconducibile al focolaio spartito con il Trevigiano. L’età media delle persone che si sono ammalate supera i 70 anni. Le vittime trevigiane sono già sette: tra loro la gloria del ciclismo Italo De Zan, il falegname Giacomo Rui, il macellaio Benito Zambon.
L’ALLERTA
Le autorità sanitarie appaiono in allerta. Il direttore generale dell’Usl 2 Francesco Benazzi definisce la situazione «complessa e anche più difficile da gestire» riferendosi a un gruppo di persone del centro anziani locale «che hanno giocato a carte nei bar di Orsago, Caneva a San Fior e si sono contagiate in modo serio. Tra loro alcune si trovano in rianimazione». Bepi Maset, sindaco di San Fior, ripete il suo appello: «Abbiamo una quindicina di persone infettate nel nostro comune. Per la terza volta in otto giorni mi rivolgo a voi, chiedendovi sempre lo stesso favore, aiutiamoci a superare questo difficile momento. Evitiamo qualsiasi incontro, stiamo a casa. Siamo il paese con più contagiati e questo significa che non siamo stati sufficientemente bravi nei giorni passati».
IL FOCOLAIO
Il triangolo del contagio raggruppa le località di San Fior, Orsago e Caneva e sembra un copione già visto, terribilmente somigliante a quanto avvenuto a Vo’ Euganeo nel Padovano, iniziale epicentro dell’infezione in Veneto e oggi comune capofila nella ricerca scientifica per smascherare il coronavirus. Qui e lì risulta difficile pensare che il virus cinese sia arrivato tramite turisti di passaggio, da scartare anche l’ipotesi che le due aree siano state esposte per popolosità e grado di industrializzazione. Il minimo comune denominatore del contagio sembrano essere le abitudini. Il facilitatore sembra essere l’età dei protagonisti, tutti sopra gli “anta”. Poche anime strette tra la piazza, il casoin e la locanda paesana.
Un bicchiere di vino e la mano di carte. Qualcuno si è spinto un po’ più in là per andare a salutare gli amici dell’ex circolo dei minatori nel Pordenonese, tanto che a Caneva c’è chi ha chiesto la sanificazione dei locali dove i concittadini andavano a trascorrere i pomeriggi tra chiacchiere e poker. «Vanno puliti e messi in sicurezza» l’istanza del consigliere di Pierantonio Rigo. Mentre Barbara Martinuzzo, presidente dell’Associazione italiana ex minatori sottolinea che il suo circolo è stato tra i primi ad adottare contromisure per proteggersi e proteggere gli altri.
«Non siamo degli untori, in anticipo rispetto al decreto ministeriale, non appena abbiamo saputo del primo ricoverato di Orsago, un amico che era venuti qui qualche tempo prima, una sola volta, abbiamo subito contattato il numero dell’emergenza coronavirus».
LO STUDIO
Giorni dopo, l’azienda sanitaria di Pordenone ha iniziato a ricostruire la rete di contatti e frequentazioni dell’associazione. Lo stesso sta facendo l’Usl di Marca per la zona di sua competenza. Gli esperti trevigiani sono impegnati nel “contact tracing” la tracciatura dei contatti, utile per ricostruire il tragitto del virus e i suoi potenziali bersagli. «Il nostro lavoro prevede per prima cosa un’intervista al contagiato» racconta una fonte interna all’Usl di Treviso «al quale chiediamo nomi, indirizzi, numeri di telefono di tutte le persone con cui ha avuto una relazione ravvicinata nelle ultime due settimane. Nel caso di vita sociale “normale” ce la caviamo in un paio d’ore, ma nel caso di soggetti iperattivi, la ricostruzione è più lunga e laboriosa». Per ora il focolaio acceso tra Treviso e Pordenone riporta sempre agli stessi orizzonti. La Scienza li osserva e cerca di rischiarare l’ignoto. —
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