I licenziati dalla scuola del preside manager

Linea dura di Maddalon: prima un docente, ora la direttrice amministrativa. Succede all’Einaudi-Scarpa. I sindacati: clima pesante e discrezionalità
AGOSTINI TREVISO IL PRESIDE MADDALON SCUOLE COLETTI
AGOSTINI TREVISO IL PRESIDE MADDALON SCUOLE COLETTI

MONTEBELLUNA. «Qui comando io. Ecco, alcuni dirigenti scolastici hanno la tentazione di metterla così, su questo piano». «Creare un caso disciplinare da un frullare d’ali di farfalla. Oppure, al contrario, non far nulla se cade un macigno. Ora la decisione spetta al dirigente». Ci tengono, i segretari provinciali dei sindacati scuola di Cgil e Cisl, a sottolineare che è un «ragionamento generico». La cornice, però, è questa: dopo aver cacciato un insegnante per «protratto scarso rendimento», ora l’istituto superiore tecnico e professionale Einaudi-Scarpa di Montebelluna del dirigente Gianni Maddalon ha mietuto un’altra “vittima”: Laura Pozzobon, direttrice dei servizi generali e amministrativi, è stata licenziata con una serie di contestazioni che culminano in un - presunto, perché ora la vicenda è finita al tribunale del lavoro - arbitrario sforamento del rientro a scuola dopo un lungo periodo di malattia.

C’è un caso Einaudi? Un caso Maddalon? Un picco - pericoloso o sacrosanto a seconda dei punti di vista - di decisionismo accentrato nella figura del dirigente scolastico, «che giudica e manda» come il Minosse dell’Inferno di Dante? «Maddalon è molto rigoroso nell’interpretare le norme»: Marco Moretti, segretario generale provinciale della Flc Cgil, sceglie le parole con cautela estrema, come sassi sui quali appoggiarsi per attraversare un fiume. «È una persona molto precisa, pignola pure. Anche in senso positivo, eh». Non molto positivo secondo lei, pare di intuire. «Non giudico», risponde Moretti, «c’è chi ama dirigenti più rigidi, chi meno. Lui è molto rigoroso nell’interpretare le norme. E la riforma della cosiddetta “buona scuola”, con la legge 107 del 2015, ha allargato le possibilità per i dirigenti scolastici di fare gli pseudo-manager, alla “qui comando io”. E alcuni ne approfittano più di altri».

Maddalon non parla. Lo abbiamo cercato al telefono, è stato laconico: cinque parole, «Non intendo rilasciare alcuna dichiarazione». Potrebbe essere archiviato come un caso “normale”, quello della direttrice licenziata all’Einaudi: uno dei tanti contrasti che portano a provvedimenti disciplinari, sanzioni, ricorsi. Tra insegnanti e assistenti (personale ata) si contano una trentina di procedimenti disciplinari l’anno in provincia di Treviso, cinque o sei dei quali, di media, sfociano in un licenziamento. Potrebbe, ma c’è un precedente fresco quanto clamoroso: un insegnante di educazione tecnica licenziato per «incapacità», detto brutalmente. Caso del 2015, solo un anno prima dell’inizio di questo attuale (licenziamento datato primo settembre 2016) che ora si trascina fino a Tar e Consiglio di Stato. Il Minosse, anche il quel caso, è stato Maddalon. «Ora, non voglio entrare nel merito del caso della direttrice dell’Einaudi licenziata - dice Teresa Merotto, segretario provinciale generale della Cisl scuola e formazione - se ci sono mancanze o colpe, è giusto sanzionarle. Su questo non c’è discrezionalità da parte del dirigente, e non c’entra neppure la legge 107: questo è il quadro normativo dalla riforma Brunetta del 2009 in poi. Una volta non c’era l’abitudine di applicare sanzioni: le cose venivano risolte in altro modo, o non risolte proprio - dice la sindacalista Cisl - ora in capo ai dirigenti c’è l’obbligo d’azione». Un obbligo dove però è il dirigente stesso, comunque, a decidere se muoversi: la discrezionalità rimane, o no? «Diciamo che tra il creare un caso disciplinare da un frullare d’ali di farfalla oppure, al contrario, non far nulla se cade un macigno, la decisione spetta al dirigente».

Cambiamo piano: questa faccenda, ammesso che non rappresenti un caso-Einaudi, è comunque un termometro di un clima fattosi più pesante, all’interno della scuola in generale? «La scuola non è più un ambiente facile, per un sacco di motivi e problemi - dice ancora Merotto - sia dal punto di vista degli alunni, che spesso vivono situazioni di disagio o difficoltà che nascono fuori dalla scuola, sia dal punto di vista dei docenti. Non c’è più sintonia scuola-famiglia, fare l’insegnante è un lavoro sempre più complesso e non tutti hanno il giusto bagaglio di capacità o esperienza». Problema non da poco. Come se ne esce? «Io dico spesso: la scuola non è più un posto di lavoro per tutti. Lo era un tempo, oggi non più. Gli insegnanti sono pochi, e non tutti riescono a tenere in mano una classe di trenta quindicenni che non vogliono neppure stare seduti. La qualità si garantisce con i numeri. Se le condizioni di base sono già critiche in partenza, difficile che quel che arriva dopo sia eccellenza».
 

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