Gilberto Benetton è stato il regista delle grandi operazioni: la sfida ora sarà trovargli un successore

TREVISO. Il nome della sua cassaforte è Regia, che controlla la quarta parte della holding Edizione e per i vari rami arriva a Benetton Group, Atlantia, Autogrill, Cellnex e così aeroporti e autostrade in mezzo mondo, e partecipazioni in Generali, Mediobanca, varie società immobiliari, proprietà terriere per un milione di ettari.
E in effetti Gilberto Benetton delle fortune proprie e dei suoi fratelli è stato il regista. Per nulla portato a apparire, anzi schivo e di poche parole, Gilberto amava descriversi come “un uomo normale che conduce una vita normale”.
A dispetto dei 12 e rotti miliardi di ricavi maturati da Edizione nel 2017 e dei 67 mila dipendenti, dell’affermazione planetaria del nome di famiglia come un brand, Gilberto della normalità faceva un abito quotidiano. Viveva in un appartamento nel centro di Treviso, diceva che scendere in Calmaggiore e incontrare gli amici d’infanzia era un piacere che nessun salotto di potere al mondo poteva sostituire.
LEGGI: LA MORTE A TREVISO, AVEVA 77 ANNI
Magari un cruccio domestico lo aveva: che la sua Treviso poco abbia capito la passione e gli investimenti enormi dedicati a rugby, basket, volley. Erano le sue passioni, assieme alle barche, per tanti anni uno splendido ketch a vela dei cantieri olandesi Jongert e da ultimo il lusso di uno yacht a motore da 50 metri.
Di salotti ne ha frequentati tanti per dovere d’ufficio: da Generali a Mediobanca, da Allianz a Telecom e via elencando gli snodi di potere reale più cospicui d’Italia. Ma poi di coltivare la mondanità connessa ai ruoli non voleva proprio saperne.
Eventi ufficiali, cene di gala, inaugurazioni e tagli di nastro, bacio della pantofola al ministro di turno non rientravano nel suo codice genetico. Che non significa naturalmente che non comprendesse il senso e l’importanza di certi mestieri, semplicemente non li voleva fare di persona. Così, per esempio, quando s’è trovato in casa a valle delle privatizzazioni di Stato figure come Fabrizio Palenzona o Giancarlo Elia Valori, con cui pure faticava a trovare un alfabeto comune, non ha mancato di confermarle per anni e anni: serviva comunque chi andasse a bussare a palazzo Chigi o sapesse muoversi nelle everglades della romanità.
Sono due le annate chiave della storia Benetton. La prima riguarda la quotazione in Borsa dei maglioni colorati, il cui massimo artefice è stato l’iconico Luciano. Quotazione avvenuta nel 1986 e dai cui proventi poi è originato il secondo stadio delle fortune dei quattro fratelli trevigiani.
Il secondo stadio del razzo parte nel 1995, quando venne il tempo delle privatizzazioni di Stato. Solo in questo frangente è emerso Gilberto, tanto riservato che fino a questa fase in pochissimi lo avevano incrociato.
Lui è appunto il regista delle diversificazioni, insomma l’uomo della finanza che succede al celebrato capitano d’industria Luciano. Due caratteri e due profili quanto mai differenti. Lo diceva pure Gilberto, sottolineando che il segreto dell’ascesa dei quattro fratelli partiti squattrinati e finiti plurimiliardari consisteva appunto nel fatto che avevano talenti diversi e che – soprattutto – si fidavano l’uno dell’altro. Di sicuro nei consigli di amministrazione delle tante società partecipate da Edizione ci è sempre andato lui. Una era la sua preferita e si chiama Autogrill, forse perché con il nome di Sme è stata la prima acquisizione dallo Stato, tanto che ne ha mantenuto sempre la presidenza fin dal 1997.
Fino a due anni fa, ha lavorato in tandem costante per un quarto di secolo con Gianni Mion (che non ha mai smesso di dare del “lei” ai suoi “datori di lavoro”, chiamandoli “signor Gilberto” e “signor Luciano”).
Niente titoli di studio, per nessuno in casa Benetton. Gilberto ha studiato fino a 14 anni. E lo diceva senza pantomime. Perché le competenze se l’è fatte alla scuola della vita. Così serenamente confidava qualche mese fa che nel board di Mediobanca non aveva ambizione di restare, perché la normativa in campo creditizio era diventata talmente specialistica e astrusa da divenire materia solo per mandarini. Quando non capiva lo diceva e passava la mano, si faceva contornare da gente di cui si fidava. Il tema della fiducia e del gruppo spiega pure come mai tanti dirigenti siano alla corte Benetton da decenni, siano i top manager di Autogrill, di Autostrade, di Edizione stessa.
Resta da capire che accadrà in Edizione, ora che è venuto a mancare il regista e la chiave dell’arco di un gruppo familiare sempre più articolato e a luglio scosso dalla morte di Carlo. La successione è una prova insidiosa e di formidabile complessità. Tenendo pure conto della stagione di durissima tensione che ha investito la famiglia trevigiana post crollo Morandi, la capacità di ritrovare un punto di equilibrio e una rotta condivisa non sono scontati. —
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso