Giancarlo e l’ultima carica della Cavalleria italiana «Ho 97 anni, mi sembra ieri»

LA STORIA
All'alba del 24 agosto 1942 a Isbuscenskij, nella steppa russa, vicino al fiume Don, 700 soldati del reggimento Savoia Cavalleria caricavano a cavallo alcuni battaglioni nemici numericamente molto più forti. Fu l'ultima carica nella storia della cavalleria italiana.
Tra quei giovani soldati c'era anche il caporal maggiore Giancarlo Cioffi, che per essersi distinto nel drammatico combattimento fu promosso sergente. Questo valoroso cavaliere, che di anni ne ha 97 portati magnificamente, il primo luglio ha sfilato, tra gli applausi di tanti vittoriesi, in occasione dell'adunata nazionale dell'Arma di Cavalleria.
«Mi ricordo perfettamente - ci ha raccontato - quella giornata. Era ancora buio quando il mio amico Ernesto Comolli aveva lasciato l'accampamento alla testa di una pattuglia. Doveva perlustrare il tragitto che portava ad un'altura dove il mio Reggimento avrebbe dovuto attestarsi. Sapevamo che i Russi stavano avvicinandosi in forze». La fortuna volle che il sergente Comolli, quasi per caso, riuscisse a scorgere un elmetto russo che sporgeva tra una sterminata distesa di girasoli. «Questo scongiurò - sottolinea Cioffi - che ci prendessero di sorpresa. La pattuglia lanciò, infatti, l'allarme e subito la nostra artiglieria aprì il fuoco sui Russi. Contemporaneamente il nostro comandante diede l'ordine della carica al 2° squadrone. Noi che appartenevamo al 4°, nell'occasione scendemmo da cavallo, ed attaccammo armati di sciabola e moschetto. Dopo poco arrivarono in sella a darci una mano anche i ragazzi del 3° squadrone». Alla fine i Russi si ritirarono lasciando sul campo di battaglia quasi 300 uomini. Le perdite del Reggimento Savoia furono più contenute: 32 morti, 54 feriti e più di 100 cavalli fuori combattimento. «I problemi maggiori - ribadisce l'anziano cavaliere - furono le mitragliatrici, i Russi sparavano sui garretti dei cavalli che crollavano a terra».
Questo fu il principale motivo che porterà negli anni successivi alla trasformazione della cavalleria a cui furono affidati, al posto dei cavalli, i carri armati ed i blindati. «Il mio cavallo sauro - ricorda Cioffi con gli occhi lucidi - si chiamava Violetto e lì nella steppa non lo avrei cambiato per nulla al mondo». Ed il futuro? «A me non rimane tanto tempo, ma ai giovani di oggi dico sempre amate il vostro Paese e lottate per la pace». —
Alvise Tommaseo
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