Fecondazione assistita: lista d’attesa di tre anni all’Usl 9

Al centro specialistico di Oderzo si rivolgono ogni anno oltre 1.200 coppie che vogliono avere figli Molte desistono e bussano alle strutture private. La direttrice: «L’eterologa? Attendiamo disposizioni»
Di Valentina Calzavara
PASSERINI TREVISO ASILO COOPERATIVA ''INSIEME SI PUO'' AGENZIA FOTOGRAFICA FOTOFILM
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Tre anni per avere un figlio: è questo il tempo d'attesa che attualmente una coppia deve aspettare per una fecondazione omologa (ossia utilizzando il seme e l’ovulo della coppia stessa) all'ospedale di Oderzo, dove ha sede il Centro per la Procreazione Medicalmente Assistita “Gianluigi Beltrame” dell'Usl 9. Lungaggini legate a più fattori: da un lato il calo delle risorse in sanità, che si ripercuote anche sul personale e sugli organici a disposizione. Avere meno biologi e meno ginecologi comporta infatti dei rallentamenti notevoli nel percorso medico e clinico dell'utenza. Ma di non poco conto è anche la decisione, tutta veneta, di autorizzare la fecondazione assistita in regime pubblico nelle donne fino ai 50 anni, mentre altre regioni si fermano sotto ai 44 per evitare percentuali di insuccesso altissime. Un provvedimento, questo, introdotto nel 2011, che ha contribuito a infoltire notevolmente il numero di domande che arrivano al centro opitergino.

«Le richieste di fecondazione omologa che ci pervengono sono 1.200 circa ogni anno. E' inevitabile che, vista la riduzione del personale, l'accesso delle 50enni e il calo delle procedure, i tempi di attesa si allunghino», spiega Federica Nenzi, direttore dell'Ostetricia e Ginecologia di Oderzo, centro “Gianluigi Beltrame”.

«E' da segnalare anche che le coppie sono in crescita perchè è aumentata l'età media in cui si cerca di avere un gravidanza, ora sopra ai 35 anni. Occorre però tenere presente che, partendo dai 32 anni, ogni anno la probabilità di gravidanza si riduce del 3 per cento. E la percentuale a 45 anni di arrivare ad avere un bambino in braccio è solo del 3 per cento». Ottenere un trattamento in tempi rapidi è dunque fondamentale.

Per quelle coppie che non riescono a veder esaudita la propria domanda in tempi brevi, ecco che scatta la ricerca delle alternative più rapide. Dove? Nel privato o all'estero.

«La sanità pubblica sta annaspando un po' e quindi la carenza di personale ci ha portati a ridurre anche gli interventi. Se prima affrontavamo dai 200 ai 250 cicli all'anno adesso abbiamo ridotto a 130-150». Tagli che molto spesso si trasformano in migrazione sanitaria verso altre regioni d'Italia (il cui costo resta a carico della Regione Veneto) oppure verso altri paesi. Tra le mète più gettonate: Barcellona, ma anche Olanda e la Svizzera.

La fuga, per molti aspiranti mamme e papà, resta l'unica soluzione per vincere il principale nemico di una gravidanza: l'avanzamento dell'età. Un ulteriore contraccolpo che potrebbe appesantire molte strutture pubbliche, potrebbe evidenziarsi, se e quando, alla fecondazione omologa si aggiungerà l'eterologa (ossia con il seme di un donatore o l'ovocita di una donatrice, esterni alla coppia). Un primo passo è stata appena fatto con la pronuncia di incostituzionalità dell'eterologa da parte della Consulta. Una presa di posizione che apre ora l'accesso alla fecondazione eterologa in Italia per migliaia di coppie eterosessuali, sposate o stabilmente conviventi e con sterilità accertata da studi clinici.

Quali le possibili ripercussioni sul centro di procreazione opitergino? Nenzi invita alla cautela. «Intanto va premesso che la dichiarazione di incostituzionalità è stata fatta, ma ora attendiamo il legislatore. Ci si dovrà pronunciare sul come va cambiata la legge. Finché non avremo disposizioni precise al riguardo, non agiremo». Notevole sarebbe la mole di lavoro che dovrebbe essere fatta per “attrezzare” il nostro paese all'eterologa, conclude la ginecologa dell'Usl 9: «Bisognerà, ad esempio, fare le banche per la conservazione dei gameti; andrebbe anche stabilito un registro nazionale dei donatori e si dovranno mettere dei limiti al singolo donatore, altrimenti il rischio è di diventare tutti fratelli. Servirà molta attenzione».

Insomma, la sanità trevigiana ha bisogno di norme chiare e di strutture in grado di gestire la mole di richieste prevedibile. Anche perché già oggi, con la sola fecondazione omologa, il centro dell’Usl 9 non riesce a dare risposta a un grande numero di donne in attesa. Le quali, spesso, sono costrette a rivolgersi al privato o a centri di altre regioni.

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