Fallimento della Liberti, pronto l'appello
Altivole, Aldo Bordignon contesta la sentenza del tribunale: «Potevamo pagare i debitori»

Il patron Aldo Bordignon
ALTIVOLE.
Impugnare il fallimento. E' quanto progetta di fare Aldo Bordignon, patron della storica azienda di intimo e corsetteria Liberti di Altivole, rimasta schiacciata dal peso dei debiti e dichiarata fallita lo scorso lunedì. Una vicenda lunga che rischia di innescare scintille tra la Corte di Appello di Venezia e il Tribunale di Treviso, che ha firmato il fallimento.
I legali di Liberti (marchio acquisito dalla mantovana Csp International) stanno infatti valutando di impugnare la sentenza di fallimento la cui istanza era stata firmata dal procuratore di Treviso Antonio Fojadelli, che ha così affossato le flebili speranze del presidente della corsetteria di poter liquidare i debiti trovando un accordo più mite con i creditori. Strada tentata da Bordignon tramite il concordato preventivo, presentato nel gennaio del 2008 e avallato dallo stesso Tribunale di Treviso, al quale hanno lavorato su nomina del giudice il presidente dei commercialisti trevigiani Vittorio Raccamari e Tarcisio Baggio, rispettivamente commissario giudiziale e liquidatore. «Anche loro avevano visto la documentazione - spiega Bordignon - con la quale poi si doveva passare al saldo dei debiti secondo le percentuali contenute nel concordato. La procedura è stata però congelata su indicazione di Baggio, che a un certo punto ha detto di non riuscire a pagare i creditori come previsto nel piano. Ma, secondo me, i numeri c'erano ed è un peccato che non sia stato dato corso al concordato. Una decisione condivisa dal Tribunale di Treviso che credo sia stata impropria». Proprio per questo i legali di Liberti avevano cercato scansare il fallimento, chiedendo una sospensiva. «Durante l'iter per la risoluzione del concordato sia io che Raccamari abbiamo esposto le nostre ragioni durante diverse udienze in camera di consiglio - spiega Baggio - Da queste risulta evidente come l'attivo non bastasse per pagare tutti i debiti previsti. Alla fine è stato un piccolo artigiano creditore che ha chiesto il fallimento, mandato avanti dalla Procura trevigiana. Fatto che comprova che, purtroppo, non c'era altra strada, come ribadito con il fallimento dal Tribunale di Treviso». Secondo il concordato il passivo ammontava a 22,6 milioni di euro (700 mila euro per le spese di procedura, 4,1 milioni per i creditori privilegiati, 15,3 per i chirografari e 2,5 per i postergati), con somme restituite al 18% ai chirografi. Cifre da rivedere con la fine della società e l'inizio della nuova procedura fallimentare.
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