È crisi anche in Stonefly cassa integrazione per 30

Dieci esuberi e ammortizzatori per un massimo di 30 addetti su 110 dipendenti l’azienda di calzature controllata anche da Andrea Tomat punta a risanare i conti
Di Enrico Lorenzo Tidona

MONTEBELLUNA. Dieci esuberi e cassa integrazione alla Stonefly. L'azienda di calzature di Montebelluna ha ottenuto la cassa straordinaria per 12 mesi, che coinvolgerà un massimo di 30 persone sui 110 addetti totali. Secondo la richiesta non tutti i lavoratori coinvolti rimarranno a casa. La cassa verrà utilizzata di volta in volta in base alle necessità, in vista di un piano esuberi che prevede l'uscita di dieci dipendenti tra operai e impiegati. Una strada già prospettata ai lavoratori, imboccata dall'azienda per riequilibrare i ribassi del mercato e dare più fiato ai conti, appesantiti dai debiti verso banche e fornitori. La società di calzature fondata nel 1993 è controllata congiuntamente dalla Futura 5760 Srl del presidente degli industriali veneti Andrea Tomat e dalla Rd Srl di Adriano Sartor, suo storico socio in affari, che quasi vent'anni fa, nel cuore della calzatura sportiva, hanno creato il marchio Stonefly, scarpe per tutti i giorni sulle quali sono state applicate nuove tecnologie per un maggiore comfort. Un mercato in espansione che ha subìto poi una battuta d'arresto a partire dal 2008, quando il fatturato dell'azienda è sceso da 56 a 51 milioni di euro, tornando a crescere oltre i 55 milioni di euro nel 2010, ricalando a 53 milioni nel 2011. Già nel 2009 l'azienda aveva ottenuto la cassa integrazione straordinaria per 15 dipendenti della produzione, definita all'epoca «una soluzione fisiologica» da parte del management. A distanza di due anni è tornata a farsi sentire la necessità di un nuovo riassetto. Oltre alle fasi alterne del mercato italiano, si sono fatti sentire gli scivoloni di paesi come Spagna e Portogallo e del resto dell'area mediterranea. L'indebitamento ha avuto poi un peso non indifferente nelle scelte operate dall'azienda, che nel 2010 contava 45 milioni di debiti, 32 milioni dei quali nei confronti delle sole banche, saliti di altri 2 milioni nel 2011, mentre altri 11 milioni erano in capo ai fornitori. La chiave per la ripresa sta quindi nell'export, via privilegiata nell'attuale piano di espansione, culminato con l'accordo sottoscritto con il gruppo cinese Foshan, che dovrebbe portare all'apertura di 250 tra negozi e corner shop nei grandi magazzini asiatici entro il 2014. Da poco è stato inoltre dato avvio allo sbarco in Israele, mentre sembra affacciarsi all'orizzonte un possibile partner di origine russa. Sempre in Cina è stato aperto un ufficio di rappresentanza situato a Guangzhou, dove lavorano quattro dipendenti locali e un referente italiano. Ulteriore segno dell'espansione verso l'Asia, terra promessa per molte aziende della moda, in fuga dalla crisi europea.

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