Due tecnici della Breton nell'inferno libico

Silvano Ceccato e Aldo Feltrin barricati in un albergo di Bengasi. I familiari: fateli tornare
Silvano Ceccato, 50 anni, tecnico della Breton con la figlia minore Sotto una delle poche immagini degli scontri in corso sfuggite alla censura del regime libico
Silvano Ceccato, 50 anni, tecnico della Breton con la figlia minore Sotto una delle poche immagini degli scontri in corso sfuggite alla censura del regime libico
 CASTELLO DI GODEGO.
Barricati in un albergo mentre fuori, nel cuore di Bengasi in Libia, infuria violentissima la rivolta dei ribelli contro il regime del colonnello Gheddafi. Silvano Ceccato, 50 anni di Castelfranco, e Aldo Feltrin, di Crocetta, tecnici della Breton di Castello di Godego, vivono così da giovedì scorso. I familiari si appellano alla Farnesina: «Aiutateli a rientrare».
 Ceccato è partito per la Libia il 15 febbraio. Destinazione: Bengasi, la capitale della Cirenaica. Qui lo attendeva il collega Feltrin. I due tecnici erano stati mandati dall'azienda di Godego per seguire l'installazione di macchinari forniti a un cliente libico. Una missione all'estero come tante altre per i due dipendenti della ditta di via Garibaldi, leader nella produzione di macchinari per la lavorazione del marmo. Ma dalla sera del 17 febbraio, due giorni dopo l'arrivo di Ceccato, è successo l'imprevedibile. Spari, urla, esplosioni, fiamme: a Bengasi è scoppiata la rivolta dei ribelli contro il regime del colonnello. «Siamo chiusi in hotel, fuori è l'inferno. Ci hanno detto di stare lontani dalle finestre», è stata la prima telefonata che Ceccato ha fatto alla moglie Irena, a casa con i due figli. «Sotto alla sua voce - racconta la donna - si sentivano echi di spari ed esplosioni». Un inferno. Le comunicazioni via cellulare tra i tecnici e i familiari sono diventate sempre più difficili. «Un'impresa prendere la linea - riferisce Irena - Il contatto resisteva pochi minuti tra mille disturbi». Poi il silenzio interrotto da qualche sms e dalle scarse comunicazioni in arrivo dall'ambasciata italiana. I due tecnici hanno provato a imbarcarsi dall'aeroporto di Bengasi. «Purtroppo - continua Irena - quando sono arrivati, le piste erano state incendiate, tutti i voli cancellati e l'aeroporto dichiarato inagibile». Nel tragitto Ceccato e Feltrin si sono imbattuti negli scontri tra ribelli e soldati. Roghi, cumuli di cadaveri, insomma la guerra. «Stiamo bene - hanno tranquillizzato i familiari al rientro in hotel - La gente di Bengasi ci sta aiutando. Attendiamo solo di trovare un modo per rimpatriare». Escluso il rientro in aereo, hanno optato per la nave. «Purtroppo - dice la moglie di Ceccato - non ci sono imbarcazioni italiane e quelle straniere in partenza dal porto di Bengasi prima mettono in salvo i propri connazionali». Irena si appella alla Farnesina: «Aiutateci a far rimpatriare mio marito e il suo collega». Da martedì sera le notizie arrivano con il contagocce. A Castelfranco e a Crocetta sono ore di grande preoccupazione. Si attende la telefonata che annunci il rientro a casa dei due tecnici montatori della Breton. «Alberto, il nostro figlio maggiore - racconta Irena Ceccato - ha mandato mail alla Farnesina chiedendo notizie». La sorellina minore non sa nulla. «Non abbiamo voluto preoccuparla». Da Bengasi nel pomeriggio di ieri è arrivato un sms che avvisava del cambio di hotel dei due tecnici. «Ci hanno trasferito in un albergo più lontano dagli scontri - ha scritto Silvano Ceccato alla moglie - Sta' tranquilla». Ma per chi attende le ore non passano mai e le rassicurazioni non smorzano la tensione.

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