Dipendente Indesit scrive ai Merloni «Trattati da stracci»

REFRONTOLO. «Dopo 36 anni di lavoro non sono un vecchio straccio da buttare: vi prego, rispondetemi». L’appello, disperato, è quello di Umberto Andreetta di Nervesa della Battaglia, uno dei 19 cassintegrati dello stabilimento Indesit di Refrontolo in ansia per il loro futuro. Si è fatto coraggio e ha scritto alla famiglia Merloni, titolare di Indesit: «È vostro dovere trovare una soluzione per tirarci fuori dalla drammatica incertezza che ci avete imposto, e non delegare ad altri il problema che voi avete creato. Basta parole!». Una vita in Indesit, prima da caporeparto, poi da impiegato in ufficio tecnico. Una volta, anni fa, Andrea Merloni in persona rispose alla sua mail di auguri di Natale. Oggi che la crisi ha travolto la loro azienda, e il contenuto delle mail è ben diverso, i titolari non gli rispondono più: «Avranno segnato il mio indirizzo come spam» commenta Andreetta. Racconta di quanto sia difficile vivere questi giorni di ansia. Come per 19 suoi ex colleghi, a febbraio scadrà la tornata di cassa integrazione firmata a marzo 2011. Si sentono abbandonati, di Indesit non si parla più: «L’attenzione si è spostata su aziende più grandi. Eppure anche Indesit presentò un piano Italia nel quale investiva 120 milioni per rilanciare l’azienda. I fatti mostrano che però stanno chiudendo tutti gli stabilimenti al Nord: Brembate, Refrontolo, None». Sindacati e azienda si sono ripromessi di ricollocare tutti, o di provare a chiedere ammortizzatori sociali in deroga alla Regione. Il rischio concreto è di restare disoccupati e senza sussidi: «Mi pare ci sia un po’ troppo ottimismo, non dobbiamo abbassare la guardia. Come fanno a ricollocarmi? Ho 53 anni e 36 di contributi. Ho mandato centinaia di curricula e sostenuto decine di colloqui. Non mi ha preso nessuno. Mi spiegano che il problema non è l’età, ma il fatto che non hanno lavoro». Andreetta non ha scritto solo ai suoi titolari. Quando il ministro Maurizio Sacconi parlò di cassintegrati che si accontentavano del sussidio statale, lui gli scrisse spiegandogli che di lavoro, in giro, non ce n’è: «Il ministro almeno mi rispose, i Merloni no». L’ex impiegato Indesit non è nemmeno un “choosy”, uno schizzinoso che non accetta di fare lavori più umili: «Farei qualsiasi cosa. Sono andato a vendemmiare e raccogliere kiwi. Chiedo solo che qualcuno ci aiuti». Quando lavorava otto ore al giorno e faceva straordinari, in busta paga il netto mensile era di quasi duemila euro. Da marzo, deve accontentarsi di 900 euro di cassa integrazione. Ha un figlio che studia all’università di Padova, e per pagarsi gli studi lavora nei centri commerciali. Di domenica. «Il problema è drammatico: anche i miei ex colleghi sono demoralizzati. È triste sentirsi sempre chiudere la porta in faccia, si tratti di colloqui di lavoro o richieste per email». I 19 di Indesit continuano a incontrarsi almeno una volta al mese. I sindacati di Fiom Cgil hanno chiesto un incontro in regione all’assessore alle politiche del lavoro, Elena Donazzan, entro fine novembre.
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