Dialetto veneto nelle scuole. Ok, ma quale?

TREVISO. 'Ndemo sunare el sorgo? Ovvero, a Castelfranco: andiamo a cimare il mais? Lo capiscono appena di là del confine, nell'Alta padovana e in parte del Vicentino. Ma a Vittorio Veneto, Rovigo e Belluno non se ne parla - verbo appropriatissimo - nemmeno. Non avendo il tempo di chiedere, ad esempio, tra gli amici bellunesi, siamo andati a trovare online un dizionario bellunese-italiano (partorito nel finto principato di Roe Basse, Sedico, in occasione della Sagra della Madonna, con tanto di corsa degli apecar con motore truccato) come si coniugano i verbi. E abbiamo scoperto, intanto, che "le desinenze dei verbi del dialetto bellunese sono quattro, anche se una si deve considerare alquanto anomala. Le prime tre ricalcano quelle dell'italiano: si tratta di ar, er o ere, ir.
Vi è poi, a quanto risulta, un solo verbo con desinenza in or, si tratta di ciòr (prendere)". Ma andando avanti, siamo inciampati nel presente interrogativo, che in italiano non esiste. In bellunese (ma non sappiamo se anche in feltrino), il verbo avere, nel presente interrogativo, si coniuga così: oe (mi)?, atu-astu (ti)?, alo (lu,el)?, ala (ela)?, avòne-ven-voni (noi)?, avèo (oiàltri)?, ali (lori) o ale (lore?)
ale (lore)? A quel punto ci si è aperto un orizzonte infinito. Perchè, a parte i lemmi che possono derivare da riferimenti e etimi localissimi, anche i verbi risultano variare, e di molto. L'interrogativo presente, a pochi chilometri metri di distanza, può diventare goi, gò o ò; gatu, gastu, gato, gheto, ghetu, ato, atu.... e avanti così. E vietato sorridere, ognuno ha il proprio dialetto no?
Un grande scrittore come Luigi Meneghello, vicentino, nel suo impareggiabile "Libera nos a Malo", dedica un intero capitolo alla pseudolingua vicentina, partendo da Malo, appunto. Racconta del "talian", racconta del dialetto de Vicensa, racconta del dialetto di Malo. E non si accontenta: dettaglia, mettendosi nei panni di un insegnante di "dotrinacristiana", come veniva raccontato l'inferno in città (Malo!) e in collina a tre chilometri di distanza (Monte di Malo): due lingue così diverse da non crederci.
Mettendola alla trevigiana: che comune identità hanno il trevigiano di Ponte di Piave, quello di Vittorio Veneto, quello di Motta di Livenza, quello di Mogliano, quello di Riese e quello di Meduna? Quasi nessuna. Figuriamoci la fiera delle zeta dei ruvigoti e quella delle elle dell'Altopiano di Asiago, le aspirazioni delle sibilanti sul Montello e de vocali spalancate (a scapito delle consonanti) di quelli di Teolo o Rovolon in provincia di Padova, il venessian "in cicara" de Venessia e quello sgnaolante (sempre tra i confini della provincia) dei marinanti o dei ciosòti.
Come si farà a insegnare l'inesistente Veneto nelle scuole? A meno che non sia obbligatorio il godeghese, lingua parlata nella terra del governadòr Zàja. E attenti a non dire Zaìa, che da qualche parte vuol dire semplicemente "ingiallita", autunnale come certe ubbìe.
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