Debora: la mia battaglia vinta contro il tumore. «La bicicletta mi ha insegnato a rialzarmi»

Il racconto di Debora Bertuola, di Trevignano: nel 2017 ha scoperto la malattia alle ovaie. Giovedì 4 febbraio è la Giornata mondiale contro il cancro 

La storia

Se incroci Debora Bertuola in sella alla sua bicicletta a Trevignano non immagineresti mai che ha appena combattuto una battaglia sfibrante contro il cancro. Tre anni dalla diagnosi, due operazioni chirurgiche, sei cicli di chemioterapia, la perdita dei capelli, la fatica a fare tutto comprese le scale di casa. Lei, 49 anni e una forza straordinaria, non si è arresa e ora che il peggio rimane alle spalle, racconta la sua storia per incoraggiare chi si trova a combattere un drago sconosciuto dentro l’universo della malattia in cui si perdono bussole e coordinate. E lo fa alla vigilia del 4 febbraio, giornata mondiale contro il cancro.

Come ha scoperto il cancro?

«Alla fine del 2017 mi sono accorta di avere una cosa strana nella pancia, sotto l’ombelico. La sentivo la sera, distesa a letto e sembrava una specie di palla».

Si è spaventata?

«All’inizio no perché non sentivo alcun male, di giorno me ne scordavo, presa dal lavoro. Parlando con i colleghi davamo la colpa agli sforzi nello spostare casse e bancali al reparto ortofrutta nell’ipermercato Panorama di Villorba: sarà un’ernia, pensavo. Poi ho deciso di andare dal medico che senza spiegarmi un gran che mi ha spedito a fare un’ecografia all’addome. Ho preso un permesso al lavoro e sono andata all’ospedale di Montebelluna e qui è sorto qualche intoppo. L’urgenza, mi hanno detto, dà 48 ore di tempo e quel giorno sembrava non esserci posto. Però uscendo ho incontrato una conoscente che lavorava lì e ha convinto gli operatori».

Così le hanno fatto subito l’esame.

«Eh già. A volte le conoscenze aiutano, purtroppo, e nel mio caso la faccenda era grave, infatti mi hanno fatto immediatamente una visita ginecologica e poi un sacco di esami spostandomi all’ospedale di Treviso».

Ed è arrivata la diagnosi di cancro alle ovaie.

«In realtà avevo sentito già sussurrare il sospetto quel primo giorno a Montebelluna, confermato dagli accertamenti che hanno portato al primo intervento avvenuto il 23 gennaio 2018. Cinque ore sotto i ferri. Mi hanno asportato una massa di 16 centimetri, ma non era finita poiché l’esame istologico ha confermato la malattia e condotto in sala chirurgica una seconda volta, il 13 marzo. Nove ore e mi hanno asportato tutto, ovaie e utero. Ricordo che il medico mi ha detto “abbiamo ripulito ad effetto mitragliatrice”. Dopo sono seguite pesanti chemioterapie...».



E lei cosa provava?

«Avevo paura, mi sentivo disorientata, catapultata in una situazione surreale che non ero preparata ad affrontare. I dottori spiegano più o meno bene ciò che ti succede dal punto di vista medico ma le emozioni, la tempesta che ti si scatena dentro è un argomento che pochi sostengono. Eppure sono stata fortunata».

Fortunata?

«Si perché il mio tumore non è andato in metastasi e perché ha dato un segnale. In genere le ovaie sono silenti, asintomatiche. Se avessi avuto qualche chilo di troppo quella palla non l’avrei sentita».

Chi l’ha sostenuta in questo difficile cammino?

«Prima di tutti il mio compagno Sergio che non mi ha mai lasciata sola, ha aspettato seduto sulla seggiolina ore e ore durante gli interventi. Poi ci sono gli amici fidati, quelli che non si sono spaventati per non sapere cosa dire di fronte a te che cambi e perdi i capelli. E i colleghi che mi hanno accolta al rientro senza farmi sentire diversa. Ho voluto ripartire dal mio reparto, seppur faticoso, per riannodare i fili della normalità».



E poi c’è la sua bici protagonista dei diari di viaggio.

«Certo, la mia amata bicicletta. Durante la chemioterapia ne ho comperata una nuova, per costringermi a uscire anche se non ne avevo voglia. C’è un filo sottile che divide il reagire dal lasciarsi andare e la bici mi ha aiutato a combattere, immergendomi nella natura, nelle sue meraviglie, nelle cose che spesso diamo per scontate come un presepe immerso nella fontana di Alano di Piave o la chiesetta di Castelcies sui colli di Monfumo, le nevi del Grappa, la grotta Azzurra di Mel, le ginestre e i mandorli sui Colli Eugenei. Una bellezza che ti infonde energia. Il Covid ha limitato gli spostamenti ma mi ha fatto scoprire luoghi bellissimi vicini a casa. La bici ti insegna che se cadi magari ti ammacchi ma puoi sempre rialzarti e proseguire».—

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