Dal delitto Onigo alle notti del bridge la storia nel palazzo

Il restauro ha riportato alla luce tracce del nobile passato Il primo nucleo del teatro, il circolo Unione, il bar Italia

Il circolo Unione, il bridge, le partite notturne fino all’alba, il bar Italia immortalato anche da Germi in «Signore e signori». E come dimenticare la sala ex Linea 10 di tanta politica, movimentismo, cultura alternativa e ufficiale? E la banca Italia di Sconto fallita alla fine degli anni ’20, quando poi la famiglia Zeno (l’antenato Niccolò nel 1.391 approdò in Nordamerica con un vichingo) - acquistò la parte privata del palazzo, da qualche anno diviso fra parte pubblica e gentilizia?

La storia di Palazzo Onigo, oggi Zeno, è memoria cittadina allo stato puro. Il teatro Comunale nasce come teatro privato della famiglia Onigo, a fine Seicento, sala di divertimenti e di piaceri, e tempio della prosa, della lirica e della musica. Le bombe delle due guerre, il restauro degli affreschi nel 1.930 firmato da Mario Botter...

E la contessa Linda Onigo? Sarà assassinata brutalmente il 3 marzo 1.903, in passeggiata vicino agli attuali giardini di Sant’Andrea, dal contadino Pietro Bianchet, delitto riportato alla luce dallo scrittore Giandomenico Mazzocato in un popolarissimo romanzo.

Sotto il palazzo, dove le fondamenta sono parziali, sono stati trovati resti romani. La vicinanza al Sile, così come per la collinetta di Sant’Andrea, ne faceva già allora un sito strategico e privilegiato.

Ma il primo nucleo di edifici organizzato risale al Trecento - numerose le tracce, a cominciare dagli affreschi - e questo fa ritenere che in origine i palazzi fossero gotici, o tardomedievali. Lo testimoniano fregi, decori e affreschi lungo via Cadorna, anzi contrada della Cavallerizza. Gli esperti ritengono che a fine ’400 il palazzo fosse già un piccolo gioiello

Ma solo a metà del Cinquecento l’edificio assume la configurazione attuale, o meglio le configurazioni, perché si tratta di un aggregato di edifici. E la sua posizione angolare lungo i due assi degli attuali Corso del Popolo e via Cadorna creerà un inconsueto gioco interno di moltiplicazione di ingressi, di direttrici e percorsi, di multipli assi di saloni e sale rispetto al nucleo dell’attuale teatro e alle sue pertinenze.

Il restauro - curato dall’architetto Roberto Fioretti all’insegna di un filosofia «zen», tesa a ripristinare la leggerezza e la semplicità delle origini - ha voluto poi far recuperare alla città l’antico giardino scoperto del palazzo, sul lato di via Cadorna, negli ultimi decenni trasformato in plateatico e dehors del bar Italia e del Brek più recentemente. Il ginko e la camelia ne sono oggi i riferimenti visibili e naturali. E l’assenza voluta di cancelli e sbarre vuole lanciare un messaggio ai cittadini, per rifruire di quel luogo, e di quello spazio, ma anche per riprenderne il rispetto, l’amore e la cura. Anche se ci sono già state visite non gradite in questi giorni di vigilia.

La fiducia in una città più fruita e vissuta, in un quadrante così importante per la città. E non si esclude che una piccola mostra, all’interno del palazzo, documenti la storia del palazzo e dell’isolato.

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