Da villa dei nobili a casa dei mezzadri e ora il restauro Così rinasce Ca’ Bressa

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Poloni Volpago cantiere restauro ex convento Nonontolani
Poloni Volpago cantiere restauro ex convento Nonontolani

la storia

Volpago

Su quei muri, in filigrana, si dipanano 600 anni di storia. Finestre e affreschi parlano di una comunità e di una dimora. Da villa di campagna ad abitazione dei mezzadri, poi deposito comunale. Villa Bressa, per tanti anni è stata definita l’ex convento dei Nonantolani, forse per la presenza di una chiesa e di un cimitero, che ora hanno ceduto il posto a una residenza privata, destinata a diventare sede della biblioteca civica e di una sala espositiva.

La barchessa

Nella vicina barchessa, adibita a stalla all’epoca dei mezzadri, sarà invece ricavata una sala riunioni da 250 posti. L’amministrazione comunale la sta facendo restaurare, con una spesa di 2 milioni e 800mila euro. Serviranno però altri 800mila euro per completare l’intervento recuperando anche gli affreschi, spiega il sindaco Paolo Guizzo. Lui confida di riuscire per la primavera 2020 e averla operativa. Intanto l’opera di restauro, portata avanti in base al progetto dell’architetto Alessandro Cervi, ha consentito di far ritrovare la memoria del passato. Tante tracce emergono dalle finestre, dalle nicchie, dagli affreschi, dalle travi, dai pavimenti.

sulle orme della storia

La famiglia Bressa arrivava da Brescia, quella di Volpago era la villa di campagna, una delle tante, c’erano anche una proprietà a Montebelluna, un sontuoso palazzo in piazza Vittoria a Treviso, molto simile ai palazzi che si affacciano sul Canal Grande a Venezia, purtroppo demolito. Villa Bressa aveva dato problemi perché poggiava su una bolla di sabbia e i cedimenti erano iniziati presto, al punto che stavano letteralmente crollano i solai. «Se non intervenivamo la villa sarebbe andata perduta», spiega il sindaco. Un tipico esempio di villa prepalladiana. Basta osservare i nuovi pilastri in calcestruzzo per capire in quali condizioni versava: man mano che salgono si allargano per unire muri che si erano allontanati l’uno dall’altro. «L’edificio è stato adeguato con l’antisismica e il progettista ha fatto un recupero filologico», spiega l’architetto Alessandro Cervi.

affreschi veneziaNI

Il primo nucleo di villa Bressa risale al 1400. «Lo rivela la presenza di un arco gotico e di una finestra sbarrata da tondini ritorti, ampliata poi nel 1500 e rimaneggiata dopo. Ma quel che si poteva salvare è stato salvato. Basta vedere il soffitto in una sala al piano terra, dove alcune travi a cantinella sono quelle originali cinquecentesche veneziane. Erano le uniche rimaste. «Il resto del soffitto è stato rifatto con lo stesso tipo di travatura. Le sorprese maggiori le ha riservate il piano terra, dove sono apparsi due cicli di affreschi, uno sopra l’altro: uno seicentesco e quello sottostante più antico», spiega Cervi.

LE SALE OCRA E BLU

Particolare la tonalità dei colori degli affreschi, tanto che una l’abbiamo chiamata la sala ocra, l’altra la sala blu. E si scorgono figure umane, un cavallo nell’atto di saltare, dei putti. Lungo il cornicione sotto il soffitto si alternano animali e motivi geometrici. Purtroppo nell’Ottocento sono state aperte porte e finestre giusto in mezzo agli affreschi. «Sarà la Sovrintendenza», dice il sindaco Paolo Guizzo, «a decidere se strappare quelli sopra e mantenere quelli sottostanti o restaurare tutto lasciando gli affreschi sovrapposti». Nella sala d’ingresso c’è una curiosità: il pavimento è inclinato. «Il terreno da un lato era più elevato», spiega dice Alessandro Cervi, «questa pendenza del pavimento serviva a far defluire l’acqua quando pioveva. Abbiamo recuperato parte del pavimento veneziano ma anche delle altinelle, ossia dei mattoni di epoca romana, esempio di riuso di materiali di recupero.

UNA MADONNA DIPINTA

Appartengono invece alla devozione popolare quelle piccole nicchie che si aprono nelle pareti una delle quali ha una Madonna dipinta. Ci sono anche i segni di quando la villa è stata adibita a ospedale militare, austroungarico: le aquile asburgiche dipinte in soffitta. L’intervento al tempo dei mezzadri: i caminetti per tenere caldo l’ambiente al tempo dei bachi da seta e la fascia antitopi che corre lungo tutto il muro. «Così i roditori non riuscivano ad arrampicarsi», conclude il progettista, «e a raggiungere i salami appesi». —

Enzo Favero

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