Crolli all’ex Bacologico di Vittorio Veneto: dieci anni di ribassi ma nessuno lo compra

La Regione cerca di venderlo a qualche investitore dal 2011. L’assessore Bottacin: «Fase difficile per queste operazioni»
Ferrazza San Giacomo Di Veglia centro del bacco da seta
Ferrazza San Giacomo Di Veglia centro del bacco da seta

VITTORIO VENETO. Valeva più di 2 milioni, neppure 10 anni fa, oggi potrebbe essere ceduto per metà valore. Si tratta dell’ex Istituto Bacologico di Vittorio Veneto con sede a San Giacomo.

«Non riusciamo a venderlo, non c’è mercato immobiliare per volumi così importanti» spiega l’assessore regionale Gianpaolo Bottacin. La proprietà, infatti, è della Regione, che ha messo in vendita il bene ancora nel 2011, con ripetute aste. Il problema è che l’edificio, molto grande, è in condizioni di assoluta precarietà. Il tetto è ceduto in due angoli e i muri si stanno pericolosamente scrostando. L’area è recintata, quindi inaccessibile. Su un lato si trova la sede dell’Associazione Famiglie Rurali che vi svolge attività ormai da 40 anni. A suo tempo era stato ipotizzato il recupero per attività assistenziali e sociali, ma la Regione – afferma Bottacin – non ha certamente i soldi per procedere ad un restauro e ad una eventuale utilizzazione, anche perché non ha servizi da collocarvi".

"La sede dei Servizi Forestali, a Costa, ai piedi la montagna della Madonna della Salute è, infatti, più che sufficiente. Il Comune di Vittorio Veneto dispone di ancor meno risorse, tanto che non riesce a disfarsi dei suoi volumi oggi vuoti: da Villa Papadopoli all’ex Mafil. «Bisogna attendere, con fiducia, l’eventuale ripresa post pandemia» sospira Bottacin, che assicura: «In ogni caso la vigilanza sulle sorti dell’edificio è garantita».

LA STORIA DELL’ISTITUTO

Il Bacologico, infatti, si trova vicino al centro del quartiere. Il Centro Genetico ed Ecologico del baco da seta – questa è la dizione esatta che la storia ha assegnato all’istituto - è stato istituito nel 1955 con il compito di riprodurre il seme poliibrido importato dal Giappone.

«Il Centro provvedeva alla selezione delle razze pure e alla loro moltiplicazione per ottenere i primi incroci – riferiscono al Museo del baco da seta, ospitato all’ex Filande - Questi erano quindi trasferiti agli stabilimenti bacologici privati, dove avveniva la preparazione delle varie combinazioni di poliibridi, da cui ricavare il seme bachi commerciale. La concorrenza delle sete asiatiche e la trasformazione della realtà agricola italiana hanno comportato però la progressiva diminuzione della richiesta di seme bachi, fino alla chiusura definitiva della struttura nel 1978».

Lo aveva diretto per lunghi anni Dino De Bastiani, che è stato anche presidente dell’Ulss 7. In un primo tempo la struttura era stata immaginata quale sede del Museo del Baco da Seta, ma l'amministrazione comunale del tempo ha preferito ristrutturare parte delle ex filande. —



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