Coronavirus, cassa integrazione per 68 ditte trevigiane

Emergenza Covid-19, in pochi giorni fioccano le richieste di ammortizzatori sociali. Coinvolti oltre duemila lavoratori
DE POLO AG.FOTOFIM TREVISO APPIANI, SCIPOERO LAVORATORI SETTORE LEGNO-ARREDO
DE POLO AG.FOTOFIM TREVISO APPIANI, SCIPOERO LAVORATORI SETTORE LEGNO-ARREDO

TREVISO. L’emergenza coronavirus presenta il conto alle imprese. Dopo una settimana è già salatissimo: dal 2 marzo a oggi, in provincia di Treviso, sono finite in cassa integrazione 68 aziende, quasi tutte a causa del famigerato Covid-19, per un totale di oltre duemila lavoratori. Ci si attende che altre cento imprese faranno lo stesso la prossima settimana. I numeri arrivano da una prima rilevazione di Cisl Treviso-Belluno e sono soltanto la punta dell’iceberg, sia perché le richieste di “cassa” (o di fondo Fsba per gli artigiani) arrivano a getto continuo, sia perché manca ancora all’appello la fetta più consistente del terziario (alberghi, b&b, ristoranti), che potranno chiedere la cassa integrazione in deroga da martedì prossimo. Una situazione drammatica che secondo le forze sociali non si potrà tamponare a lungo con gli ammortizzatori sociali: «Servono agevolazioni fiscali e di altro genere per non far implodere il sistema» sottolinea Cinzia Bonan, segretario generale Cisl Treviso-Belluno. .

I numeri Ammortizzatori sociali attivati nell’ultima settimana, quindi, in 42 aziende artigiane della provincia, che hanno chiesto l’accesso al Fondo di solidarietà bilaterale per l’artigianato, approvato pochi giorni fa. Le altre 26 aziende che hanno chiesto la cassa integrazione si dividono in 2 società di servizi di trasporto (bus di linea), 6 aziende di ristorazione collettiva, 12 cooperative sociali, una del comparto industriale, 4 del settore legno, un bar-ristorante. Di queste, quattro (tutte quelle del legno) hanno motivato la richiesta con la mancanza di ordini, una ha addotto un’altra motivazione, tutte le altre hanno collegato il momento di crisi al Covid-19. Cisl prevede che circa altre cento aziende artigiane chiederanno l’accesso al fondo Fsba la prossima settimana. E l’impressione di tutti gli addetti ai lavori è che la crisi non si risolverà né in una settimana né in un mese. I problemi vanno dal crollo degli ordini (collegato anche alla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime) all’interruzione di tutte le forniture collegate al settore della ristorazione e dell’ospitalità, completamente fermo. A questo si aggiunge la cancellazione delle fiere di settore (tra cui Vinitaly e Salone del mobile), che si traduce in mancati accordi commerciali per i prossimi mesi.

I settori «Quello che è successo non era in alcun modo prevedibile solo tre settimane fa» commenta Cinzia Bonan, Cisl. «Il quadro già non era così rasserenante ma il mercato stava tenendo, chi andava bene faceva numeri anche per gli altri e non si notava l’andamento generale. Ora questa emergenza è trasversale e rischia di causare problematiche economiche non risolvibili a breve. L’impatto immediato lo hanno dato il blocco delle attività scolastiche e il fermo del turismo, oltre a quello della componentistica e dei prodotti che erano di provenienza asiatica».

Le richieste «La priorità, oggi, è bloccare l’evolversi delle contaminazioni» conclude Bonan, «per alcune attività avere settimane o mesi di ammortizzatori sociali sarà sufficiente per riprendere appieno l’operatività, per altre invece si rischia di andare in una tale sofferenza da dover richiedere anche agevolazioni fiscali e di altro tipo, finanziario e bancario. Dover mantenere i costi vivi senza entrate comporterà ammanchi economici importanti». —



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