Casimirri, da terrorista a ristoratore a Managua Quella cena tra i Papi del professor Marion

LA STORIA
«Ero incuriosito da quelle tante foto di Pontefici appese alla parete del ristorante che conduceva in cucina. Alessio, il titolare, mi indicò in particolare una di quelle foto. “Vedi quel bimbo in braccio a Papa Giovanni?... Sono io da piccolo. Con lui giocavo sempre nei giardini vaticani”, mi disse. E chi se l’immaginava che quell’uomo fosse Alessio Casimirri», racconta ancora oggi incredulo il professor Andrea Marion, trevigiano d’origine (vive a Castelfranco Veneto) e docente nella facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova. Casimirri, romano, classe 1951, per i compagni d’arme noto con il soprannome di “combattente Camillo”, fece parte del commando delle Br che, in via Fani, massacrò i cinque uomini della scorta di Aldo Moro il 16 marzo 1978. Sempre a Roma il 10 ottobre successivo con altri brigatisti (tra cui Adriana Faranda, la “postina” durante il rapimento Moro) partecipò all’omicidio del giudice Girolamo Tartaglione al quale sparò lui personalmente, mentre il 21 dicembre dello stesso anno prese parte al nucleo di fuoco che attaccò la scorta di Giovanni Galloni (più tardi ministro). Nel 1982 la fuga all’estero, prima in Africa e poi in Nicaragua, dove approdò con l'alias di Guido Di Giambattista. Oggi, dopo Battisti, è considerato il “latitante numero uno” cui dare la caccia. Una caccia, finora, mai andata a buon fine grazie alle altissime e solide protezioni di cui ha goduto (dal Vaticano ai Servizi segreti) come ha ricordato nei giorni scorsi al Corriere della Sera l’ex ministro (Dc poi Pd) Giuseppe Fioroni: «Casimirri è il vero pezzo grosso da prendere... Non ha mai fatto un giorno di galera grazie alle sue coperture».
Nel febbraio 2014 il professor Marion va in Nicaragua per motivi di lavoro: fa parte di una delegazione di universitari italiani. «Era una delle ultime sere a Managua. Ci fu consigliato il più rinomato ristorante di pesce a qualche chilometro dal centro, la Cueva del Buzo: fummo informati che era gestito da un italiano» rammenta il docente, «Ammetto è stata una delle cene di pesce più prelibate. Memorabile come qualità... Ricordo che fui proprio io a dialogare di più con il titolare del locale, Alessio. Mi raccontava che andava personalmente a fare pesca d’altura sul Pacifico. E, nel ristorante, mostrava con orgoglio un video durante una caccia subacquea». Impossibile non notare quelle foto dei Pontefici: «Chiesi come mai le avesse. E lui mi raccontò che il padre era stato capo dell’ufficio stampa del Vaticano e che la madre – la vidi nel locale, molto anziana e in carrozzina – aveva il passaporto vaticano. Di fronte alla foto di Papa Giovanni con un bambino puntò il dito “quello sono io”». La chiacchierata andò avanti. «Disse che aveva inventato un dolce a base di melanzane. Mi fece ridere il nome, Tiramigiù. Quella sera l’aveva finito e mi invitò a tornare l’indomani, voleva farmene omaggio. Ero davvero intenzionato a tornare. Poi ho cambiato il piano: il giorno dopo, su Internet, scoprimmo chi era Alessio». Per il professor Marion è un trauma: «Sono rimasto scioccato. Provengo dai gruppi studenteschi di formazione cristiana per i quali Aldo Moro era un punto di riferimento. Sarebbe stato impossibile, per me, tornare in quel ristorante». Un incontro casuale e impensabile quello con il superlatitante condannato all’ergastolo. «Ogni tanto ci penso. La cosa che più mi ha impressionato? La mitezza di quell’uomo, almeno apparente. La sua pacatezza nei modi. E la prelibatezza del cibo che offriva. Notando le foto dei Papi, avevo immaginato una persona con una profonda dimensione spirituale. Non un terrorista». Un terrorista e anche un pluriassassino fino a oggi impunito: il Nicaragua ha sempre negato la sua estradizione.—
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