«Bus de la Lum, nessuna strage» La verità nel libro di Brescacin

L’OPERA
La verità storica sul Bus de la Lum. A mettere un punto fermo è il “Il Bus de la Lum. I Luoghi della memoria divisa”, il nuovo libro di Pier Paolo Brescacin, direttore scientifico dell’Isrev. Il lavoro affronta il problema delle presunte violenze perpetrate negli anni 1943-1945 dai partigiani a danno di repubblichini della Rsi, ma anche di spie e collaborazionisti. Ne esce un quadro articolato e complesso, dove l’accento è posto sulle ragioni ideali dei resistenti, ma anche sulla dura contesa tra resistenti e fascisti e sulle rivendicazioni da parte della fazione politica avversa ai resistenti, nonché sull’esercizio della pietas che si deve alle vittime misconosciute di quella guerra civile. «Nessuna strage è stata perpetrata dai partigiani nel Bus de la Lum,», spiega l’autore, «né vi sono stati quegli episodi di violenza e sopraffazione che una certa pubblicistica tende ad accreditare. E in ogni caso, se sono avvenuti, essi non riguardano il Bus de la Lum». È assodato che vi furono processi e vennero comminate dai resistenti pene capitali a militari fascisti, spie e collaborazionisti in quegli anni in Cansiglio. Tali pene vennero tuttavia applicate sempre nella logica della guerra e mai in modo impulsivo. Le modalità di esecuzione adottate dai resistenti furono sempre rispettose dei prigionieri, che venivano passati per le armi “prima” di essere seppelliti nell’anfratto. «Nessuno di essi venne mai gettato vivo», precisa Brescacin. «Solo una persona vi cadde accidentalmente, mentre stava scappando inseguita dai partigiani». Quanti i morti nella cavità carsica? Sulla base delle perizie effettuate, è ragionevole fissare il numero a 18-20 unità, cifra che non lievita con il recupero nel 1992 di nuovi resti sul fondo dell’abisso, in quanto collegati a quelli raccolti nel 1950 e a suo tempo dimenticati nel famoso salone Lanterna. Il libro, per la prima volta indica l’identità delle vittime. Sono i 10 soldati appartenenti al Presidio dislocato presso la centrale elettrica del Carron, tra i Comuni di Cappella Maggiore e Fregona, catturati il 25 luglio 1944. A questi vanno aggiunto un sottotenente del 9° Battaglione Alpini della Guardia Costiera di Treviso, un milite repubblichino, un italiano arruolato nelle SS e alcuni civili, fiancheggiatori e informatori dei nazifascisti. «Discutibile risulta, ancora a distanza d’anni», conclude lo storico «la decisione dei resistenti di occultare i cadaveri nel pozzo. Misura che sortì l’effetto negativo di rendere impossibile la celebrazione pacificante della sepoltura, prolungando per i congiunti delle vittime l’incertezza della fine dei loro cari». —
FRANCESCA GALLO
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