Assolto Rosset: l’omicidio resta un giallo

ODERZO. Non prescrizione, ma non imputabilità. Due anni dopo l’emissione della sentenza di primo grado, che aveva prosciolto David Rosset per l’omicidio di Anna Laura Pedron (la cui famiglia è originaria di Oderzo), in quanto era trascorso troppo tempo dai fatti, ieri la corte d’assise d’appello di Trieste ha riformato la decisione dei colleghi, decretando che quel maledetto 2 febbraio 1988 Rosset fosse incapace di intendere e di volere, perciò non giudicabile. Quindi, assolto. Ieri i giudici hanno ritenuto fondamentale quella stessa perizia psichiatrica sull’inimputabilità dell’allora 14enne cui la Corte d’assise, in primo grado, aveva dato un peso relativo. Silenzio surreale alla lettura della sentenza, avvenuta alle 12.45 a Trieste. L’accusa, pur non avendolo ancora annunciato ufficialmente, ricorrerà in Cassazione. Il pm Chiara Degrassi aveva chiesto invano 24 anni di reclusione, «poiché l'omicidio è un reato imprescrittibile».
L’analisi. Un tipico esempio di sentenza capace di non soddisfare e allo stesso tempo non scontentare proprio nessuno: la difesa, che tira un sospiro di sollievo, ma che aveva in tutti i modi cercato di dimostrare l’innocenza del proprio assistito e quindi puntava su un’assoluzione nel merito, con formula piena; l’imputato stesso, che senz’altro si toglie un macigno dallo stomaco, ma che ora può recriminare per una sorta di persecuzione giudiziaria e mediatica; l’accusa, che non vede smontato il “castello” probatorio e l’ipotesi di reato formulata, ma vede il proprio lavoro svanire in una bolla di sapone. E poi, naturalmente, c'è la famiglia della vittima, che esce dalla categoria dei “non contenti e non soddisfatti”, rimanendo sola nel limbo dei delusi, di chi non si aspettava risarcimenti morali e materiali ma voleva soltanto giustizia, una verità processuale, una certezza di colpevolezza, qualcuno su cui sfogare la propria rabbia per una perdita tanto dolorosa, per una ferita che continua a rimanere aperta e a sanguinare dopo 25 lunghi anni.
La vicenda. Annalaura Pedron, 19 anni, viene assassinata il 2 febbraio 1988, nell’appartamento dove lavorava come baby sitter a Pordenone, in via Colvera. L’omicidio è scoperto dalla madre del bambino, l’architetto Marina Giorni. Sul collo della vittima il segno di uno strangolamento. La ragazza seminuda, ma sarebbe stata spogliata quando era già morta, forse per simulare un tentativo di violenza sessuale. L’omicidio rimane un “cold case” per 20 anni, fino a quando, nel 2008, Massimo Olivotto, commissario capo della squadra mobile di Pordenone, decide di riaprire le indagini. Viene individuato un Dna diverso da quello della vittima sui reperti. Di qui l’indagine su David Rosset, all’epoca 14enne, studente del “Kennedy” e frequentatore, con la madre, della setta Telsen Sao. Per venti anni Rosset ha vissuto nell’ombra, non ha mai parlato. E poi non ha mai presenziato alle udienze in aula, neppure ieri.
L'epilogo. Di certo gli ultimi cinque anni non sono stati un periodo felice per David Rosset. Il quale oggi può guardare al futuro con rinnovato ottimismo: all'epoca dei fatti aveva 14 anni e 7 mesi, era sul “limite giuridico”, visto che sotto i 14 anni è automatica la non imputabilità e che entro i 16 i giudici sono chiamati a esprimere una valutazione in merito. Il risultato dell’ultima udienza è che l’uomo, il ragazzino di 25 anni fa, non poteva essere giudicato.
La famiglia. Profonda delusione, amarezza, frustrazione. Questi i sentimenti che albergano nei cuori dei familiari di Annalaura Pedron , il padre Giuseppe, la madre Paola Zamuner, le sorelle Silvia e Francesca. Una famiglia che resta in vana attesa di giustizia. «Ogni volta si riapre la ferita», afferma l’avvocato della parte offesa, Roberto Pascolat. Una voce di chiarezza: questo chiedono i familiari di Annalaura, frustrati dal perdurante silenzio dell’imputato.
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