Agricoltura intensiva e impianti ittici I grandi imputati

Raffaella Mulato (ente Parco): «Prelievi d’acqua e scarichi minano gli equilibri. Ma esistono esperienze positive»
AGOSTINI TREVISO PARCO SILE, IN FOTO I CAMPI A RIDOSSO DEL SILE
AGOSTINI TREVISO PARCO SILE, IN FOTO I CAMPI A RIDOSSO DEL SILE

Tra le fonti d'inquinamento maggiori, per il Sile, ci sono l'agricoltura e la piscicoltura. Il 73 per cento della superficie totale dei comuni rivieraschi interni al Parco regionale del Sile risulta infatti sfruttato per la coltivazione, in particolare di mais, seguito da soia e radicchio. Un'attività economica importante che occupa più di 25 mila ettari e che lascia molte tracce nel fiume, denuncia l'urbanista Raffaela Mulato: «I campi di mais sono estremamente impattanti per l'ecosistema, perché prima vengono diserbati e poi fertilizzati, sostanze che inevitabilmente finiscono nel fiume contribuendo alla sua eutrofizzazione».

A confermare la presenza, di pesticidi nell'Alto Sile sono anche i rilevamenti dell'Arpav realizzati tra il 2010 e il 2011. Dal rilevamento è emersa la presenza di cromo e pesticidi, dai nomi inquitanti quali Terbutilazina, Desetilatrazina e Malathion; oltre a idrocarburi e metalli che arricchiscono la lista dei “cattivi ospiti” del fiume. Allo stato attuale, sempre l'agenzia regionale, definisce di «buona qualità» le acque, riportando che dei 17 monitoraggi eseguiti, uno solo è risultato sufficiente e i rimanenti buoni.

«Da non sottovalutare anche la coltivazione del radicchio di Treviso, per il quale servono enormi quantità di acqua e urea, in particolare nelle fasi di sbiancatura del prodotto», ricorda Mulato che si focalizza quindi su un'altra attività antropica: l' itticoltura.

A utilizzare il corso d'acqua trevigiano ci sono ben sei allevamenti di trote. «Sono attività che impiegano mangimi e antibiotici che vengono riversati nel fiume», spiega l'urbanista che punta quindi il dito contro un altro fenomeno, quello della “mungitura” delle falde.

«Visto che l'acqua del Sile non basta, si ricorre a quella dell'artesiano, che è una riserva preziosa, perchè più profonda e più lenta a riformarsi, rispetto a quella del freatico. Così si va a depauperare il sistema idrologico della zona».

Uno sperpero che si potrebbe evitare, almeno in parte, creando dei bacini naturali di decantazione, conclude Mulato: «Per l'acqua carica di deiezioni, basterebbe usare una vasca di fitodepurazione, facendo ristagnare l'acqua su canneto: quest'ultimo la depurerebbe, per restituirla nuovamente pulita al Sile. Queste aziende diventerebbero così più eco-sostenibili, come già accade nel caso dell'allevamento Bresciani a Santa Cristina che per i suoi storioni usa vasche in sasso e non in cemento». (v.c.)

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