Aeroporto Canova fermo. La disperazione dell’indotto. «In ginocchio interi settori»
Bus, taxi, auto a noleggio: «Da mesi senza incassi, non vediamo vie d’uscita». Le storie di chi si sente a rischio. Giovedì 8 l'incontro tra il sindaco Conte e Marchi (Save) sul futuro dello scalo

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TREVISO.
Chi ha investito i propri risparmi in un bed&breakfast, chi porta a casa lo stipendio dal parcheggio, chi lavora all’interno sfornando toast e panini, chi si mette al volante per portare i turisti, e chi alla reception li attende. È un microcampionario del cosiddetto indotto dell’aeroporto Canova, quello che da anni vive sui proclami relativi alla centralità dell’aeroporto, e ora si trova invece a osservare l’unica pista in Italia su cui gli aerei non hanno ripreso a decollare dopo il lockdown.
«Abbiamo paura»
Una circostanza che aumenta l’incertezza, che fa venire cattivi pensieri sul futuro, «chi ci dice che riaprirà? Abbiamo paura di aver perso tutto, investimenti, lavoro e stipendio», è il coro di chi da mesi non vede un euro.
Perché oltre ai 300 lavoratori dell’aeroporto e a chi lavora in azienda che ha potuto contare sulla cassa integrazione, ci sono coloro che invece hanno smesso di lavorare, o ridotto drasticamente gli affari, e hanno potuto contare solo su qualche bonus. Enrico Marchi, ad di Save, non ha per ora lasciato spiragli per una rapida ripresa dei voli su Treviso.
Il sindaco Mario Conte incontrerà a Venezia proprio il presidente di Save, sul tavolo il futuro dell’aeroporto. Il primo cittadino proverà a convincere la società ad accorciare i tempi, e a rassicurare pubblicamente sui piani futuri del Canova, nonostante il nuovo stop al masterplan.
I piani per il futuro
L’ultimo orizzonte temporale fornito da Save è di riaprire marzo: ma per arrivarci mancano ancora cinque lunghissimi mesi. Eppure a Tessera i voli, seppur ridotti come numeri e passeggeri, non mancano.
Proprio nel giorno della manifestazione dei lavoratori e dell’indotto, a Tessera sono arrivati e partiti undici voli di Ryanair e Wizzair. Aerei altrimenti destinati a Treviso.
È la prova che, anche se con capienza ridotta, l’aeroporto, secondo i lavoratori, avrebbe potuto ripartire. Il Canova dà da mangiare a mille famiglie circa: 300 i lavoratori diretti, e altri 700 di indotto. Insomma se questi sono i numeri, per Treviso la chiusura del Canova protratta fino a marzo rischia di essere una mazzata dai costi sociali pesantissimi.
«Non vediamo una via d’uscita, sono cinque mesi che non abbiamo lavoro» si sfogano. I sindacati hanno preteso chiarezza in primis da parte della politica, chiarendo qual è il futuro dello scalo e la garanzia che la cassa integrazione e gli ammortizzatori sociali siano garantiti almeno fino a marzo 2021.
L’autista

«Se l’aeroporto riaprisse con soli cinque voli non riattiveremmo la linea. Le perdite di questo periodo? Enormi». La voce arriva dalla Barzi Service di Candelù di Maserada, azienda che tra gli altri servizi (Ncc, trasporto pubblico in collaborazione con Mom e disabili) effettuava il collegamento tra il Canova e Venezia.
Tra i 150 e i 250 passeggeri trasportati ogni giorno (picchi più elevati in alta stagione), 10 lavoratori impiegati dall’azienda a copertura di circa il 25% della mobilità sull’asse Treviso-Venezia e circa 1 milione di euro di fatturato all’anno (sui circa 4 complessivi) derivante da quel servizio.
Ora è tutto fermo. Barzi, da febbraio ad oggi, conta una perdita di circa 800 mila euro. I lavoratori sono a orario ridotto e in cassa integrazione. «Abbiamo subito un contraccolpo pesante» spiega Diego Barzi (in foto), che conduce la ditta di famiglia con il padre Otello e la zia Francesca, «aspettiamo la riapertura, ma siamo convinti non potrà essere una cosa a breve termine, speriamo arrivi in primavera, ne saremmo felici e sarebbe una buona ripartenza. Però devo essere franco: le richieste di riaprire subito non hanno fondamento, serve essere credibili e oggettivi. La temporanea chiusura è comprensibile: se non sta in piedi Venezia, come potrà farlo Treviso? La colpa non è di nessuno e finché il traffico aereo non riparte sarà davvero difficile. Noi stessi, con pochi voli, siano cinque o dieci al giorno, non riattiveremmo il servizio».
Una spola tra il Canova e Venezia, via autostrada, passando per Mestre e giungendo al Tronchetto, che Barzi ha attivato tra 2008 e 2009 ma che è svolta – con transito però via strada “normale” – anche dalla Atvo. «Se per noi si parla di un 30% di fatturato in meno pensate che contraccolpo stanno subendo le compagnie pubbliche». —
Il tassista

La fila di taxi bianchi fermi davanti alla stazione è la fotografia della crisi di un settore: la chiusura del Canova ha messo in ginocchio 32 professionisti che hanno visto più che dimezzarsi la loro attività.
«Con l’aeroporto lavoravamo, a turnazione, 25 giorni al mese» racconta Davide Simonato (in foto), uno dei tassisti trevigiani, «dopo la chiusura abbiamo praticamente invertito i giorni di riposo con quelli di lavoro, in pratica operiamo 7-10 giorni al mese per mezza giornata. Abbiamo costantemente spese giornaliere che senza un determinato incasso ci fanno andare in perdita, siamo tutti partite Iva quindi senza ammortizzatori sociali, da marzo abbiamo ricevuto due volte il bonus da 60 euro e una volta mille euro».
Quanto sono crollati gli incassi? «In era pre-Covid si potevano superare i 100 euro di incassi al giorno, adesso ne portiamo a casa meno della metà, ma lavorando molti meno giorni. La stessa licenza è onerosa: si paga al Comune una cifra in base alla quotazione di mercato e alla tipologia di licenza, chi è arrivato da poco ci mette anni per finire di pagarla. Senza dimenticare tutte le spese personali che ogni collega ha nella propria vita privata».
Orizzonte nerissimo per il futuro: «Treviso “galleggiava” grazie al Canova che movimentava la città, adesso i voli che atterravano su Treviso finiscono su Venezia perché a Save conviene così. Se la società non ha interesse a portare avanti la concessione, o cede l’aeroporto o ci riporta i voli che aveva prima. Noi abbiamo colleghi vicini al fallimento, senza prospettive concrete di ripartenza almeno a breve termine».—
L’imprenditore

I telefoni dei grandi park del Canova squillano a vuoto da settimane. Inutile sperare che qualcuno risponda anche a un qualsiasi numero delle aziende di noleggio auto. E pensare che fino a qualche mese fa era difficile trovare posto prima di un viaggio.
«Il mio parcheggio è chiuso e no, non vedo alcuna buona notizia all’orizzonte» commenta amaro Ettore Renato Barzi (in foto), titolare del parcheggio Union Park. «Ho sei dipendenti, tutti sposati e con famiglia, a casa in cassa integrazione. Io la sto anticipando finché posso, poi andremo con quella ordinaria. La situazione è drammatica, io sono stato uno dei primi a fare il parcheggio per il Canova, sono uno dei più vicini allo scalo. Ho 650 posti macchina, avevamo un’ottima percentuale di riempimento, con il garage al coperto e una clientela ormai fidata che si abbonava e veniva sempre».
Prospettive, appunto, nerissime, visto che l’emergenza sanitaria non dà segno di attenuarsi, e di riaprire il Canova in tempi brevi non se ne parla.
Possibile riconvertire un parcheggio dell’aeroporto? «No, non ho idea di cosa potremmo farne, né di come potrei affittarlo a qualcuno. Sono titolare anche di un’agenzia viaggi in Piazza Pio X, e siamo tutti in cassa integrazione anche là. Chiunque lavori con l’aeroporto è completamente fermo, non abbiamo grandi speranze. Avete presente cosa si vedeva passando davanti al Canova? Era una cittadella che si muoveva, adesso è una disperazione. Fino a poco tempo fa si sperava nel masterplan per il potenziamento dello scalo, ma il ministro non l’ha mai firmato. Chissà se con quella firma le cose sarebbero andate diversamente». —
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