Addio Selva, giornalista e parlamentare trevigiano

E’ morto in quel 16 marzo che per lui era un triste primato: l’aver dato alla radio, in anteprima, al notizia del rapimento di Moro in via Fani, nel 1978.
Gustavo Selva, per tutti Radiobelva, giornalista e politico, prima Dc e poi del centrodestra, conservatore dentro, è scomparso ieri. Aveva 88 anni, era nato a Imola, ma a Treviso era legatissimo. E non a caso la sua carriera politica, dopo la fondazione di An, è stata marchiata dai collegi di Treviso e della Marca. Cattolico convinto, amico di papi, in primis Wojtyla, e leader politici, era uno massimi esperti italiani di politica estera. Parlava cinque lingue, e aveva incontato i grandi della terra. Da Adenauer a Reagan, da Mao a Bush, da De Gasperi a Gorbaciov, da Kohl a papa Woytila, conosciuto da giovane monsignore polacco.
Era sbarcato nella Marca, nel lontano 1949, a 23 anni, dopo essere rimasto giovanissimo orfano dei genitori. È corrispondente de «L’Avvenire d’italia», dopo una gavetta da correttore di bozze. E nella Marca aveva trovato la moglie, un’amica francese della figlia dell’on. Lombardi, che frequentava. L’onorevole l’avrebbe voluto suo genero, dicono, ma destino e cuori decisero diversamente.
Nel 1956 entrò alla Rai : corrispondente da Vienna, Bonn, Parigi, presidente di Rai Corporation, per dirigere infine il Gr 2, dove con i suoi durissimi editoriali schierati - contro le sinistre e l’Urss, da anticomunista viscerale quale era; la difesa dei valori cattolici e la lotta al terrorismo – si guadagnò il nome di Radiobelva.
Il debutto in politica nel 1979, con la Dc: alle europee sbaragliò, con 400 mila preferenze, persino l’ex premier Rumor. Il successo e la popolarità acquisite con la Radio ne fecero un caso. A fine mandato rientrò in Rai, fu coinvolto nello scandalo P2 (ma vinse tutte i processi intentato contro chi lo attaccava, tra cui Dario Fo) poi nel 1985 tornò in Veneto, Vandea bianca, per dirigere «Il Gazzettino».
La seconda fase politica comincia con il botto: negli anni di Tangentopoli fonda Alleanza Nazionale, con Fini, Fiori e Tatarella. E nel 1994 viene eletto, dalla Marca, ed entra in Parlamento, dove resterà per 14 anni. Subito presiede la commissione affari costituzionali, poi è rieletto nel 1996, e viene eletto capogruppo di An alla Camera. Di fatto, il numero due, braccio destro di Fini.
Dal 2001 sarà presidente della commissione affari esteri, fino al 2006. E’ addirittura in predicato per il delicatissimo r ministero delle telecomunicazioni, ma poi prevalse Gasparri. Fra 2007 e 2008, sui temi etici - era cattolico intransigente- matura lo strappo con Fini , sconfessato dai parlamentari che seguono Selva, nel 2008, pur essendo terzo in lista, torna in Parlamento, ma poi in una tramssione tivù rivela di aver utilizzato un’ambulanza pur senza titolo, per raggiungere gli studi. E scoppia lo scandalo. Ma più di tutto lo piega la tragedia del figlio Lorenzo, che muore dopo grave malattia, Aveva già rinunciato a un seggio sicuro con Berlusconi. Prostrato, comincia una fase più ritirata, che culmina nel libro «Lettera a un figlio mai morto», che si ispira a Oriana Fallaci. Nel 2014 le seconde nozze a Terni, dove è spirato ieri
A Treviso e nella Marca aveva molti amici. In primis Bernini. E tanti esponenti del Pdl e di An. E poi Franco Prior, Loreta Baggio, il console onorario Giorgio De Faveri, Enrico Reginato, Marina Bonotto. E poi imprenditori, ville sul Sile, feste.
Fra chi gli è stato più vicino, il giovane Enrico Renosto, ex consigliere comunale. «L’avevo visto con i mie i zii, da bambino, poi l’ho rivisto nel 2004, per me è stato un padre politico, e un nonno umanamente», racconta, «ho vissuto a lungo a casa sua a Roma, dal 2008 in avanti. Reputo una grandissima fortuna aver trascorso con lui tanti anni, per quello che mi ha trasmesso, e per i suoi racconti di storia politica italiana. Era un maestro, un libro di storia. E su tante vicende non diceva nemmeno tutto».
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