Addio Beccherie: dopo 76 anni si chiude

Chiudono “Le Beccherie”. Il 30 marzo abbasserà le serrande uno dei templi della cucina trevigiana, dietro la piazza, all’età di 76 anni sempre ben portati, anche se ultimamente con gli acciacchi di un anziano. Il ristorante della famiglia Campeol dove è nato - titolo riconosciuto dagli esperti - il tiramisù, il dolce trevigiano conosciuto in tutto il mondo. Artefice Alba, con il marito Ado, e il pasticcere Roberto Linguanotto, alla fine degli anni '50, modificando l’antica coppa imperiale e anche i mitici dolci ricostituenti dei bordelli, che le leggenda vuole siano stati l’archetipo sin dagli anni '30.
Il locale del carrello dei bolliti e della sopa coada, dei piatti più tipici della cucina trevigiana, uno dei ristoranti che hanno portato nel mondo i sapori della campagna trevigiana, dalla pasta e fasioi al radicchio rosso, dai bruscandoi ai zaeti. Trasformando quella che era la cucina dei poveri e della campagna veneta in saporiti piatti con cui soddisfare i clienti dei cinque continenti, dai palati più raffinati a quelli del brunch. E il locale dove ha vissuto, chiacchierato e riso Treviso: i sodalizi e gli anniversari, le associazioni e i vip, i turisti, lo sport. Rugby in primis: memorabili i party scozzesi, con Carletto Campeol e l’amico «Bisteca» Brisolin in perfetto kilt e tartan delle vallate, ogni volta che al Cinque Nazioni (Sei oggi) la nazionale scozzese batteva l’Inghilterra. E quante star - del cinema, dello sport, della politica, della finanza, del bel mondo - sono state serviti dalla famiglia Campeol.
Carlo Campeol, alla soglia dei 60 anni, e la moglie Francesco, hanno detto basta. «Niente è eterno», dice Carlo. Da qualche anno il locale aveva perso spazio - da quando la parte che si affacciava su via San Vito era stata data in affitto a una boutique di abbigliamento - un’operazione che aveva tolto al ristorante due delle più belle sale, quella lignea verso palazzo dei Trecento e quella più interna che tanti storici convivi e feste aveva visto), oggi chiusa. Ne valeva la pena?
Secondo la critica, le Beccherie avevano perso smalto: le guide l’avevano retrocessa accusandola di conservatorismo, di poca innovazione. Ma intendiamoci. Per primi i Campeol, per quasi otto decenni, hanno difeso strenuamente la loro filosofia: in primis il rispetto della tradizione, facendone la loro bandiera. E hanno saputo creare, fino a oggi, il classico, quello che «se vai lì, non sbagli mai». Fosse la sopa coada, o la faraona alla peverada, o il sontuoso carrello dei bolliti. Con un’attenzione ai dettagli che, ad esempio, fece esaltare da critici e inviati nazionali anche il loro carrello degli olii. E poi la tartare, i zaeti, fino al mito tiramisù, che adesso ha dato luogo a controversie e discussioni, ma è sempre stato il tesoro della casa, brevettato. Sono sopravvissuti al fast food e alla nouvelle cuisine, ma forse non a questa cucina che strasborda, sfonda e dilaga in tivù, e vuole contaminazioni, arditezze, rivoluzioni e innovazioni quotidiane.
Se ne va un pezzo di storia della città, e mai come per le Beccherie questa non è una frase abusata. E non solo perché il ristorante aveva aperto nel 1939, nel cuore della città, con Carlo Campeol senior, nonno di Carlo. Gli avevano offerto un albergo in Alto Adige, e la moglie Alba è di San Candido, lui lasciò l’attività a Cavazuccherina (non si chiamava ancora Jesolo) e scelse Treviso. Tre generazioni - dopo di lui il figlio Ado con la moglie Alba, e adesso il nipote Carlo con Francesca e i fedelissimi collaboratori - hanno scandito la vita sociale e conviviale del Novecento e del secondo millennio. Il nome stesso, Beccherie, rimandava alla storia più antica, al macello e alle botteghe delle carni minute, che nel 600 e nel 700 erano attive dietro la piazza. Nel 1999, i Campeol festeggiarono i 60 anni con un a riuscitissima festa nella piazzetta Ancilotto. Carlo Campeol incassò con grande aplomb il cappello in meno per la chiusura anticipata della cucina. «Le critiche fanno bene, sono uno stimolo a migliorare, quello che non accetto è che si dica genericamente che a Treviso non si mangia bene, non è vero».
Parole che tornano di attualità in questo giorno amaro per chi ama Treviso, le sue tradizioni, il suo stile di vita. Il 30 marzo si chiude un’epoca.
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