Acchiappafantasmi a San Zenone nell’antica Pieve a caccia di Alberico

S.Zenone. L’indagine dopo interferenze e visioni segnalate. Foto, registratori e spunti quantici per attirare gli spiriti 

SAN ZENONE. Era una notte buia e tempestosa. Anzi no. La caccia ai fantasmi nell’antica Pieve di San Zenone si è svolta lo scorso 28 aprile in una splendida e limpida serata dal clima quasi estivo e di spiriti, per ora, neppure l’ombra. «Ma l’indagine è appena iniziata», si affretta a dire Andrea Pugliese, guardia giurata di Cervarese Santa Croce (Padova) a capo della squadra Ghost Hunter Padova, «ci vuole tempo per passare al setaccio tutto il materiale raccolto, almeno un paio di mesi per rivedere i filmati, ascoltare i nastri, controllare attentamente video e foto a infrarossi».

Insomma, la caccia è appena iniziata. I fantasmi? Forse dietro l’angolo. Tutto inizia con l’invito da parte dell’Academia Sodalitas Ecelinorium che ha sede a San Zenone, proprio nell’antica Pieve, e riunisce studiosi e cultori di storia medievale. E, qui, nella terra che prende il nome dagli Ezzelini, nel secoli XII e XIII a dettare legge erano i Da Romano.

«Durante una delle manifestazioni organizzate dall’Academia c’è chi ha segnalato strane presenze», riferisce Pugliese. Ma c’è anche chi, dietro a un albero di tasso, sempre tra chiesa, torre e cimitero ha notato una figura evanescente in abiti ottocenteschi. E chi si è rifiutato di entrare nell’antica cripta affermando: «Qui c’è troppa roba», una presenza affollata di spiriti. E non solo. «In una delle rievocazioni sull’eccidio della famiglia Da Romano», aggiungono i cacciatori di fantasmi, «sarebbero accaduti fatti singolari come l’interferenza di una voce stridula in una cassa audio e la comparsa di una figura intera e semitrasparente in abiti settecenteschi in una fotografia scattata casualmente da un visitatore nell’antico cimitero».

Suggestioni? Chissà, sicuramente un invito a nozze per i ghost hunters, che non si sono fatti pregare e dalle 17 alle 24 del 28 aprile scorso hanno indagato a fondo. Hanno piazzato le loro attrezzature nell’antica Pieve, nella torre campanaria e nel cimitero in cerca di segnali. Una videocamera fissa, fotocamere a infrarossi per scovare quello che l’occhio umano non vede, registratori per rilevare voci e suoni evocanti presenze misteriose. Per incoraggiare gli spiriti a uscire allo scoperto hanno persino riprodotto una “spunto quantico” ovvero hanno fatto riecheggiare canti di chiesa e rumori di battaglia in modo da riproporre atmosfere medievali in cui Albertico Da Romano e i suoi si potessero ritrovare.

E la caccia ai fantasmi ha avuto inizio nei luoghi in cui il signore di Treviso, fratello di Ezzelino III, vide sterminare la sua famiglia. Era il 24 agosto 1260. Dopo aver resistito per mesi nella roccaforte di San Zenone all’assedio di trevigiani, padovani e vicentini, vinto da un tradimento più che dalla forza, Alberico fu fatto prigioniero con tutta la famiglia. Davanti ai suoi occhi vennero trucidati i suoi figli maschi, violentate e bruciate vive moglie e figlie. Lui fu legato alla coda di un cavallo e barbaramente trascinato per il fondovalle, il suo castello distrutto. Oggi su quell’area sorge il santuario della Madonna del Monte, noto come chiesa rossa per il colore della sua muratura. A mezza costa del Castellano l’antica Pieve o meglio ciò che resta (cappella e cripta), torre e sepolture.

«Alcune credenze», informa Pugliese, «raccontano che la chiesa rossa sia stata dipinta con il sangue di innocenti e proprio nei pressi della struttura c’è chi dice di avvertire una sensazione di paura e di inquietudine e la costante sensazione di essere osservati. Flebili bisbigli, invece, sarebbero stati sentiti all’interno della torre campanaria e nelle cripta dove alcuni dicono di vedere addirittura il volto di Ezzelino in una della pareti interne».

I ghost hunters dopo il loro primo sopralluogo smontano questa suggestione: «Si può parlare di pareidolia per quanto riguarda il volto di Ezzelino, impresso sulle pietre, sicuramente un’illusione ottica dovuta all’umidità e alla colorazione di queste ultime. La pareidolia è un inganno del cervello che ci fa vedere immagini familiari in forme disordinate, complice magari anche la suggestione e il fascino del posto». Il resto? Tutto da indagare.


 

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso