#1 La Greenway? L'abbiamo fatta. In bici fra natura e sorprese

Dalle risorgive del Sile alla Laguna. Sogno o realtà? La Greenway del Sile, inaugurata come lunghissima ed affascinanate pista ciclopedonale esiste davvero? Siamo saliti in sella per capirlo. Abbiamo pedalato lungo il tracciato con macchina fotografica e taccuino. Ne è nato un lungo reportage che pubblichiamo in due puntate.
Scusi, non trovo più i cartelli verdi. Dove si va per la Greenway? «Uinuèi? No so, mi. Maria, el sior domanda dea Uinuei, seto gnente ti?. Aannn, a strada par Treviso da fare in bicicleta? A vecia ferovia, l'Ostiglia, boiacàn. Pi vanti, sior, e po gira a sinistra al capitèo». Povera via del GiraSile, trasformata in Greeenway per raspar sù i soldi dell'Unione Europea, che così ha denominato il progetto, finanziato, che riguarda le "strade verdi". Greenway significa che Vedelago si chiama Seelake, che Casacorba suona all’incirca Blindhouse, che Quinto diventa Fifth e Treviso si trasforma in Threeface? E la ciclabile finisce a Bigdoors, che sarebbe Portegrandi. In attesa di avere la versione corretta di Badoere (Attend-ages?), notiamo che gli abitanti della zona poco sanno di inglese e di "strade verdi"e l'oggetto misterioso diventa "Uinuèi" per quasi tutti, con gli equivoci e i pasticci del caso.

Mini cartelli verdi.Così basta seguire un mazzetto di cartelli invece di un altro mazzetto, al Ponte dei Tre Confini, per ritrovarti a fare la strada bassa, montare in asfalto trafficato e sbucare nella Rotonda, invece di salire verso la Silva dell'Albera (l'albera in questione non c'è più, ma è rimasta la Madonna che porta il suo nome). Per carità, anche quella bassa, la Ostiglia, è grinuèi (arriviamo a questo compromesso, ok?), ma non è quella finanziata. Nella mappa del Parco sono segnate entrambe in giallo... Così poi saremo costretti a un supplemento di giornata per ritornare sui nostri passi e...
Mission possible? Alt. Scusate, ci siamo dimenticati che questa, prima del pasticcio, è una incursione lungo la strada ciclabile che porta dalle risorgive del Sile fino a Jesolo. Una strada piena di storia, che ha visto i primi abitanti più di 10 mila anni fa. E così come la Piave è sacra alla patria per aver arginato il nemico, il Sile è sacro alla... dispensa, perché dai suoi innumerevoli mulini è nata un’economia fondamentale. Ci siamo attrezzati alla bisogna, grazie al supporto tecnico della Pinarello, per compiere la nostra impresuccia. Bici da mtb fantastiche (cambio super, sospensione assetto variabile, ruote gonfiate a 5 atmosfere..., bomboletta per rigonfiare in caso di foratura), perfino la maglietta gialla della Pina. E il simpatico Massimo, meccanico della Pedal Casa, che di buon mattino ci accompagna ad Abaredo, alla Porta dell'Acqua, e ci lascia il numero per raggiungerci "se succede qualcosa". Il fotografo Enrico e il vostro cicerone "triplaXL" infilano il casco e salutano. Qui comincia l'avventura, direbbe Sergio Tofano.

Porta dell’acqua.Un tempo il Sile nasceva qui. Ci hanno fatto una specie di circuitino tra moltitudini di insetti e abbozzi di piante autoctone. Il tutto indicato dai famosi cartellini (ini) verdi. Ma che non si parte da qui lo scopriamo ripassando... dal via. Bisogna uscire dal park e puntare a sud, per poi immergersi nel Gran Bosco dei Fontanazzi, tra ile e cavallette. Sostiamo in religioso silenzio davanti al blub-blub del fontanasso.

Fontanasso dea Coa longa. Siamo ben consapevoli del fatto che quando il sindaco - allora - di Vedelago, Piero Pignata, aveva lanciato l’idea del Parco, il disegno era quello di salvare l’eden, nessuno si sognava di farci crescere sopra il mais e il fiume nasceva più indietro. La deviazione ci fa trascurare la Casera. Si va per soia, mais e canne, tra pioppi divini, fino al ponte Munaron. Bisognerebbe risalire verso il ristorante per cercare una birra, ma abbiamo l’acqua in borraccia.

Verso il tri-confine. Occhio ben aperto, passiamo per tratturi assolati, “buse” in cui affondarono principesse (nella mitologia del luogo c’è perfino una chiesetta voluta da Orlando, sì lui, il paladino), fino al ponte dei tre confini (Pa-Tre-Ve) e qui scatta l’equivoco. La biforcazione, che è addirittura triforcazione, ci consiglia la via Munara (eccoli i mugnai di cui si parlava) e Badoere, invece di via Peschiera e Morgano. Ci perdiamo la Silva dell’Albara e l’omonima Madonna, ma poi s’arriva all’oasi di Cervara, al mulino...ah, adesso sì abbiamo sete. Ma non c’è un chiosco aperto dove bussare a qualcosa da bere. Addio Morgano bella, dove sorgeva il castello degli Ezzelini, gente dal massacro facile. Ci perdiamo anche Ponte e Palude Barbasso, con avifauna da non credere, dai cormorani, alle garzette, dagli aironi ai cavalieri italiani.

Uccelli ladri e piscicoltori.Tutte specie delle quali si lamenterà il piscicoltore incontrato lungo l’Ostiglia, che si vede strappare il pane - sì, insomma, il pesce - di bocca “da quei farabutti”. Gli storioni no: sono grandi come siluri e hanno certe facce... Dall’Ostiglia ci ricongiungiamo all’Oasi di Cervara e il Sile di Santa Cristina, per il ponte di Cornarotta. Si può ben dire che qui è il punto di congiunzione di due storie importanti: la Treviso-Ostiglia collegava il Po al Sile e questo è il....bacio virtuale tra il più lungo fiume di sorgente e il più lungo di risorgiva d’Italia. Sì. l’Oasi è il vero cuore pulsante del parco.

Sull’Ostiglia avevamo visto gli stagni delle ex cave Carlesso, qui altri due laghi artificiali, nei pressi di Quinto (o Fifth, fate voi) appena intuibili dal sedime dell’ex ferrovia. Qui fanno mostra di sè almeno un paio di grandi case/casello che potrebbero essere sfruttate come ostelli, ristoranti, luoghi di musica serale. Ma ci vorrebbe un ente parco meno attento alle cariche e più contento di far vivere questo capitale turistico. Per strada troviamo finalmente il piscicoltore dal quale fermarci a bere qualcosa e a riempire la borraccia. Attorno vediamo sbocciare i fiori di loto, sentiamo sbraitare l’oca canadese e rane in abbondanza. Qui vendono e cucinano pesce. Da asporto. Anche i bisati del Sile, in italiano anguille. E sulla greenway ... eel. Loro, almeno, l’han capita.

Altro pasticcio. Nessun segnale ci fa svoltare a sinistra, a Quinto, per andare a sud dell’ dell’aeroporto. Ma questa via la conosciamo bene: si va verso la chiesa e poi si gira a sinistra, i mulini Favero e Rachello, la fattoria didattica, i mulini Granello e Bordignon, le paludi di Canizzano. Le paludi e il Fontanasso di Sant’Angelo. Passando sotto la Tangenziale e per villa Letizia di Santa Maria del Sile, finalmente il nuovo ponticello in simil legno (il colore inganna), quindi un lungo budello che vi accompagna a sbucare prima del ristorante giapponese sulla Noalese.

Se, come ci è capitato, avete la sventura di uscire alla rotonda della tangenziale, sappiate che per andare a San Giuseppe dovete inforcare il sotto-sottopasso, solo pedonale e ciclabile, della stessa , per poi proseguire verso Santa Maria del Sile oppure - come è più giusto - andarvi a vedere ciò che vi siete persi lungo via S. Angelo. Il cartello artigianale dice “Treviso”, poi fate voi.
Tra intoppi e qualche tratto - breve - con traffico, la città alla fine è raggiunta.
Ci si rivede verso Portegrandi. (1-continua)
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