Rugby, il Club dei 100 nella storia del Benetton
La grande celebrazione durante il match con lo Stade Francais con una settantina di “vecchie glorie” del Benetton diventate leggenda

Guido... guida la classifica. Il pilone Rossi, 63 anni, è ancora in prima linea. Comincia con il suo nome la lista dei centenari del Benetton, 77 Leoni fedelissimi alla causa, che dal 1978, l’anno dello scudetto Metalcrom e dell’ingresso del gruppo di Ponzano a oggi hanno vestito la casacca biancoverde oltre 100 volte, traghettando Treviso dal dilettantismo all’era professionistica. Giusto celebrarli, come è accaduto sabato 22 gennaio a Monigo, prima, durante e dopo il match vinto dal Benetton contro lo Stade Francais in Challenge Cup.
Oggi che il Rugby Treviso, inserito in Benetton Group, compie 90 anni, che la città è leader in Italia è protagonista in Europa e nella prima competizione intercontinentale, la società ha creato il club dei centurioni. E scorrendo la lista, non solo a Treviso son passati campioni di ogni continente e da diverse regioni italiane (e quanti trevigiani d’adozione). È una foto di gruppo straordinaria, storia anche delle grandi dynasty trevigiane, Casellato e Francescato in primis. Trai centenari c’è chi ancora gioca nei Leoni (Pasquali e Lazzaroni), chi in Top 10 (Semenzato, Esposito), chi in Francia (Gori, Fuser). Chi è dirigente del Treviso (Pavanello, Grespan), tecnico (Ongaro, Zanni). E quanti allenatori, oltre a “Yuri”: Troncon, Costanzo, Minto, Goosen, Zanon, Trevisiol, Scaglia, Casellato (2 scudetti), Coppo, Zorzi, Collodo, Rigo, Mazzariol, Pavin, Filippucci, Favaro, van Zyl.
C’è chi ha fondato nuovi club (Cristofoletto), chi una scuola tecnica (Zorzi), chi è migrato in Brasile e ora in Portogallo (Nitoglia, chi è approdato in Fir – Checchinato, Troncon, Robazza – quest’ultimo è docente universitario. L’avvocato Gritti è telecronista, come Tommy Visentin; l’architetto Moscardi ha rifatto lo stadio di Wembley, e oggi è manager di una multinazionale. Chi ha segnato due mete agli All Blacks: Nello Francescato, chi ha fatto lo skipper come Sabbadin, chi è imprenditore del settore dolciario (Sbaraglini). Tre non ci sono più: Lello, Ivan e Piero, indimenticabili… Riassumiamo le emozioni dei protagonisti raccolti alla vigilia e dopo l’evento.

Rossi, che effetto fa guardare tutti dall’alto, a quota 366 partite?
«Oddio, in A ne ho 410, perché c’è una stagione a Parma e le due e mezza in Metalcrom da giovanissimo, prima del ’78. Mi hanno sopportato a lungo».
Magari era forte, e forse anche longevo.
«Munari un giorno mi ha detto: “ ti ho visto sempre bene in campo, perché andavi sempre così piano...”. Magari ha ragione lui, sono durato tanto per quello».
Non le manca l’autoironia. Ricorda la prima in seria A ?
«Gennaio 1976, derby con Casale, aveva 16 anni e mezzo. Io sono di Conscio, contro Raffaello Bottazzo di Lughignano. Ci prendiamo sempre in giro ogni volta che ci troviamo, lui continua a dire che mi ha risparmiato perché ero un ceo...».
Come ha cominciato?
«Facevo le medie a Dosson, erano più vicine di quelle di Casale. Professore di educazione fisica era Giorgio Troncon: quasi inevitabile, direi». Va ancora allo stadio? «Non sempre ma con molta costanza. Da qualche anno sono nel consiglio del Casale, lì gioca anche mio figlio, Nicolò, in seconda linea, l’altro ha fatto le giovanili, ma ora lavora come tecnico, Lorenzo. La più grande, Caterina, studia medicina».
Come vede oggi il rugby?
«Non è paragonabile a quello dei nostri tempi, E sì che già con Cossara allenatore si erano fatti passi avanti nell’organizzazione, nella struttura, negli allenamenti, lui credeva nei giovani perché eravamo disposti a faticare di più. Ma allora si era dilettanti puri, si studiava o si lavorava, ci si allenava solo la sera. Gli stranieri erano 1 o 2 al massimo, magari erano fra i top dal mondo. A Treviso sono arrivati Lynagh, Kirwan, Whetton, Green».
Nostalgia, e forse i rimpianti per non aver giocato con le grandi d’Europa?
«Mah, qualche occasione l’abbiamo avuta, anche noi, tra Dogi e Nazionale. C’è stata un’evoluzione enorme, basti vedere i fisici dei giocatori di oggi: impressionanti. Diversi trequarti ai nostri tempi sarebbero stati in mischia. E poi il livello di preparazione fisica, c’è un atletismo impensabile ai nostri tempi. Le partite non hanno i tempi morti di allora. È un altro rugby».
Treviso ha raggiunto la scena internazionale.
«Ai miei anni la competizione era tutta di altre piazze italiane, quelle venete e poi Aquila, infine venne Milano. Ho lasciato nel 1996, l’anno prima dello scudetto di Gianni e Oscar (Zanon e Collodo n dr)».
Cosa le ha dato il rugby?
«Tutto, frequento sempre ancora i compagni di un tempo. Ma a quei tempi si era davvero una grande famiglia, gli amici erano a rugby perché lì trovavi gli amici. Sacrifici, piacere e divertimento erano legati, dal campo alla piazza. Sarà così anche oggi, ma penso in modo diverso».
Faceva l’agricoltore allora e lo fa anche oggi.
«Sì, e spero che mio figlio prenda in mano le redini dell’azienda: studia enologia».

È ormai talmente trevigiano da averne assorbito non solo la mentalità e la cultura ma persino la dolce cantilenante parlata. Del resto arrivò nel lontano 1987, appena dopo aver vinto la Coppa del Mondo con gli All Blacks. E qui s'è sposato con la moglianese Antonella e non s'è più mosso. Craig Green, ma è molto meglio chiamarlo Toni, oggi ha quasi 62 anni e col Benetton giocò quattro stagioni da ala (dall'altra parte c'era tale John Kirwan) prima di viverne altre tre da giocatore-allenatore a Casale. Quindi ancora a Treviso per cinque anni, 2002-2007, da coach: totale cinque scudetti, uno in campo e quattro in panchina. Oggi Toni va ogni tanto a Montebelluna ad insegnare rugby ai ragazzini con Enrico Pavanello oppure lo si vede fare jogging con Sergio Zorzi.
«Ormai sono trevigiano a tutti gli effetti: a settembre sono tornato per un po' in Nuova Zelanda, erano quattro anni che non ci andavo. Adesso poi mi sto facendo la casa nuova ed allora posso dire che le mie radici sono definitivamente a Treviso. Ero a Monigo a vedere la partita contro il Bayonne, come quella con lo Stade: il Benetton sta andando forte ora che è avvenuto il cambio di qualche giocatore la squadra ha trovato più esperienza ed è certamente migliorata, trovando ottimi stranieri, vedi ad esempio nei trequarti con Ratave, Smith, Duvenage, Albornoz».
Fa parte della maxi rimpatriata dei "centenari": tutto a Monigo, pranzo, cerimonia e la passerella nell'intervallo della gara di Challenge.
«Iniziativa fantastica, davvero. È la prima volta a Treviso ed in Italia iniziative del genere non si usano, al contrario di Australia, Nuova Zelanda o Francia dove i raduni con i vecchi giocatori sono frequenti».
Un bel tuffo al cuore rivedere i vecchi compagni.
«Beh, ma tanti li frequento qui a Treviso, come Guido Rossi, Tommy Visentin, Walter Pozzebon, poi tre mesi fa andai in Scozia con Kirwan a vedere gli All Blacks. Ed a Natale ogni anni ci ritroviamo per la cena. Su whatsapp abbiamo anche formato un gruppo. Poi chiaramente mi fa tanto piacere riabbracciare Scott Palmer, Dingo Williams e gli altri. E commovente ricordare chi non c'è più come Ivan Francescato, Lello Dolfato, il cui anniversario ricordiamo sempre e Piero Dotto. Ma loro staranno sempre con noi».
109 presenze biancoverdi, chissà quanti ricordi.
«Naturalmente non sono al livello di chi di partite ne ha fatte oltre 300 però mi ritengo lo stesso molto soddisfatto. Come lo sono di aver giocato per il Benetton, società che ha compiuto 90 anni. In quanto ai ricordi, non posso dimenticare quello scudetto (1989, ndr) vinto e quella finale a Roma persa l'anno prima contro Rovigo, con la meta di Brunello (attuale coach dell'under 20, ndr) allo scadere. O magari una semifinale all'Aquila con lo stadio pieno di 5-6 mila spettatori. In verità mi sono tanto piaciute anche quelle cene per gli auguri di Natale che si facevano alla palestra della Ghirada, “Io c'ero”. Sono state serate bellissime».
Perchè tutto questo amore di Treviso per il rugby?
«Sinceramente non l'ho mai capito, non solo qui ma in tutto il Veneto con Rovigo e Padova. Forse perchè i veneti hanno sempre faticato ed il rugby è sport di fatica, credo ce l'abbiano davvero nel dna. E comunque quando cammino per strada anche a me dicono che sono trevigiano...».

Un volo per quattro di 32 ore, dalla Nuova Zelanda a Milano e da lì in auto sotto la pioggia ed al freddo fino a Treviso. E questo solo per ricevere il berretto personalizzato con stampigliato il fatidico 100, per poi ripartire subito dopo. Certe imprese, che semplicemente confermano come quello ovale sia un mondo a parte, appartengono solo nel rugby, diciamolo chiaramente. Dean Budd, Brendan "Dingo" Williams, Scott Palmer e Dion Kingi sono fra la settantina di "centenari" o, se volete, "centurioni" della grande festa a Monigo, organizzata dalla società per celebrare chi, fra stranieri ed italiani, ha onorato la maglia biancoverde almeno 100 volte.
Dean Budd oggi ha 36 anni e fa l'agente immobiliare, specializzato in uffici, a Auckland: con il Benetton ha giocato dal 2012 al 2020, 115 le presenze. 1.95, possente seconda linea e colonna del pack, anche della nazionale azzurra, ha conservato non tutti i capelli ma la lunga barba e tutta la sua innata simpatia sì. «Siamo tutti molto eccitati per questo avvenimento – spiega – ricordando le storie del periodo in cui giocavamo a Treviso, il cibo, il vino, tutte le cose belle che abbiamo conosciuto qui».
Immaginarsi che adoravate prosecco e radicchio...
«A me in verità il radicchio non ha mai interessato troppo, preferivo mangiare una bella bistecca o una pizza».
Ricevere quel cappellino è emozionante.
«Certamente. Ho visto la lista dei giocatori, quello dei 100 è un club esclusivo, sono del tutto onorato dal fatto di appartenervi, bello ricevere quel famoso berrettino».
Un'emozione rivedere anche tanti ex compagni di squadra.
«E come potrebbe essere altrimenti? Purtroppo non ci saranno tutti, qualcuno gioca per altri club, peccato non poterli vedere ma sarà lo stesso una bella giornata, ne sono sicuro. Sono tanti che mi piacerà riabbracciare, ne posso citare qualcuno: Sebastian Negri, che ho avuto all'ultimo anno, il gruppo di quando iniziai con Tommy Benvenuti, Marco Fuser ed altri, compreso l'attuale direttore Antonio Pavanello».
Qual è stata la sua più grande soddisfazione in quegli anni a Treviso?
«Proprio la mia centesima partita, a Treviso, davanti a mio padre ed a tutta la famiglia arrivata dalla Nuova Zelanda, credo contro i Southern Kings. Poi com'è naturale ci sarebbero tanti altri bei momenti ma questo è stato piuttosto importante. A Treviso c'è sempre stato questo grande amore per il rugby, forse perchè esiste ancora la presenza della famiglia Benetton».
La grande festa a Monigo

“Varda queo, el xe compagno a quando ch'el zogava”. Il tempo passa per tutti, è ovvio, ma per qualcuno forse scorre un po' più lento. Ai tifosi, magari esagerando, è piaciuto sottolinearlo. In verità i "centurioni" sono rimasti gli eterni ragazzi che in campo giocavano e si divertivano: avreste dovuto vederli alla premiazione come se la godevano, allegra brigata di un paio di generazioni, forse anche tre, ritrovatasi dopo anni ed arrivata da ogni parte del globo.
Però poi emozioni, brividi per la standing ovation di chi gioca lassù, Piero, Lello e Ivan (cappellini ritirati dai familiari), c'è scappata, massì, anche qualche lacrima, a quei rudi ex giocatori. Al centro del campo nell'intervallo della gara controlo Stade Francais l'ultimo "cap" personalizzato, con tanto di fiocco, il presidente Zatta l'ha consegnato al primo in classifica, un commosso Guido Rossi, 366 presenze in biancoverde ma 410 in carriera: «Sì, sono io quello che hanno dovuto sopportare di più... Sono onorato di aver indossato la maglia di una grande società, che ringrazio per non aver dimenticato la storia ed il passato. E grande anche a voi tifosi, ci avete sempre seguito e ancora seguite la squadra con la vostra passione». Immaginatevi l'uragano di applausi del popolo del Monigo.

Il secondo in classifica (313) è Stefano Annibal, uno dei tre "trecentisti", miti viventi: «Che emozione rivedere tanti amici. E che onore: ecco, spero che quelli di oggi possano onorare questa maglia come l'abbiamo onorata noi. Comunque non siamo miti, siamo solo giocatori di rugby: io cominciai nell'80 e terminai nel '96 solo per infortunio». Perché questo grande amore di Treviso per questo sport? «Eh non lo so, forse perchè è uno sport sano, anche se oggi completamente diverso da quello che facevo io, anzi forse non è nemmeno rugby: sarà la nostalgia ma allora era più genuino, c'era più fantasia, oggi è più schematico, più fisico. Noi eravamo dilettanti, ora sono professionisti, noi ci allenavano 4 volte la settimana poi la trasferta, le nostre ragazze praticamente non ci vedevano mai...».

E il terzo, con 306, è Giovanni "Ciccio" Grespan, uno degli organizzatori, che svela: «Era da tanto tempo che volevamo organizzare questa festa: già nel 1992 quando andai in Sudafrica incontrai Visser, un nostro ex giocatore e vidi che allo stadio di Città del Capo per i centenari c'erano i posti riservati. Lì abbiamo iniziato a pensarci. Poi grazie a Zatta e Antonio Pavanello siamo riusciti a concretizzare. Magari ci saremo pure dimenticati di qualcuno ma vi assicuro che non è stato facile: ringrazio tutti quelli che ci sono stati vicini, comprese mogli e fidanzate che in questo periodo ci hanno sopportato». Anche per lei un bel batticuore vero? «Sì, un po' per tutti e, in primis, per quelli della mia generazione. Però chiaramente anche gli altri, compresi gli ultimi che hanno giocato come Dean Budd, Scott Palmer e Dion Kingi, per citarne tre. E questo, inutile dirlo, è sempre una grande soddisfazione».
Ci voleva proprio, la giornata dei “centenari”. Non per far sapere tutto l’amore che Treviso da sempre riversa in questo sport - soltanto da 90 anni – quello lo sanno tutti, ma proprio per rivedere fisicamente certi personaggi che altrimenti avrebbero fatto la fine delle figurine, icone virtuali destinate all’oblio e oggetto solo di racconti nostalgici. E invece così li abbiamo rivisti tutti in carne (spesso un po’ troppa) e ossa: veterani che si sono emozionati come scolaretti per un berrettino con il loro nome accanto al 100.

Onore al merito agli organizzatori, mica facile scovarli tutti e radunarli proprio nel giorno di una delle vittorie più esaltanti dei Leoni. «Bella iniziativa che dà lustro al rugby trevigiano, varie generazioni che si intrecciano – dice Oscar Collodo, 160 presenze – di solito una festa così si fa all’estero, il Benetton è la prima società italiana e spero adesso abbia un’eco adeguata. Il cuore di Treviso ha sempre pulsato per questo sport e d’ora in poi batterà ancora più forte».

Umberto Casellato (122) oggi allena il Colorno e al Benetton regalò un paio di scudetti, prima di vincerne due, da coach, a Mogliano e a Rovigo. «Rivederli tutti insieme, quelli che sono venuti dopo di me ma anche quelli prima, è stato veramente emozionante. Oddio, mi ha fatto anche un po’ di tristezza, siamo tutti più vecchi (risata, ndr). Alcuni sono rimasti uguali, altri un po’ meno ma è stato bellissimo ritrovarci, fare le solite battute tornando indietro di qualche anno. E questo fa solo bene, ho visto tanta voglia di divertirsi: se il rugby ti ha insegnato qualcosa è appunto il divertimento. Oggi col professionismo forse certi valori li stiamo perdendo, il gusto di stare assieme e di condividere le cose belle e brutte. Oggi è diverso: il lato economico è importante e il risultato bisogna portarlo a casa».

A proposito di allenatori e Mogliano, Salvatore Costanzo (108), attuale coach biancoblù, era felice come un ragazzino. «Bellissimo, davvero una straordinaria iniziativa. Ho rivisto ragazzi che avevo perso di vista dopo aver condiviso tanti anni assieme: chi ha fatto parte di questa grande famiglia si sente parte di qualcosa di storico, abbiano lasciato qualcosa. Arrivai a Treviso a 16 anni, Guido Rossi per me era un idolo, come Properzi, Grespan, Annibal, io non avevo il coraggio nemmeno di parlarci: averli rivisti tutti è stato incredibile».

Brendan “Dingo” Williams (250) oggi fa l’agente immobiliare in Australia, ripartirà mercoledì. «Per me questa è una famiglia e Treviso è casa mia: sono tornato per rivivere un’emozione, per rivedere gli amici, lo stadio, tutto». Lei è l’idolo del presidente Zatta. «Sì? Non lo sapevo e questo mi fa tanto felice ma il merito era della squadra. Meraviglioso riabbracciare tutti».

Mario Pavin (135) s’è gustato anche il successo sullo Stade. «A un certo punto pareva più semplice ma bravi a chiuderla contro un grande avversario. La cerimonia? Emozione, anche per Dolfato, Ivan Francescato e Dotto: una bella rimpatriata». Doppia festa anche per il dg Antonio Pavanello (224).
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