Religione, famiglia, tatuaggi e tiramisù Ecco il Logan “segreto” che ama Treviso

Tra David Logan e Treviso è stato amore a prima vista: il trentaseienne campione di Chicago, arrivato il giorno di San Valentino, è subito entrato nel cuore dei tifosi a suon di record di triple (9), punti (32) e giocate spettacolari, senza dimenticare la Coppa Italia di A2, della quale è stato nominato Mvp. I tifosi lo adorano, nonostante un’aria schiva. Ma è solo apparenza, perchè Logan sa essere aperto e spiritoso. È il momento dunque di conoscere meglio un giocatore che in carriera ha vinto tanto, partendo dal campetto dietro casa.

Logan, lei è di Chicago, la “Windy City”, una città dove già negli anni Ottanta si respirava dell’ottima pallacanestro. Come ha cominciato?

«Ho iniziato a giocare a sei anni, giocavo tanto con mio zio e mio fratello. Ero piccolino e la mia costituzione fisica non è stata un granchè fino all’adolescenza. Per cui osservavo e imparavo, ascoltavo i consigli che mi davano e cercavo di fare cose semplici al campetto. Giocavamo ogni tipo di match, dal 3 contro 3 al 5 contro 5».

Si è ispirato a qualcuno in particolare nella sua gioventù cestistica?

«A Chicago abbiamo avuto tantissimi campioni. Il mio idolo era il play BJ Armstrong, ma è chiaro che giocatori del calibro di Jordan, Pippen, Kukoc avrebbero fatto innamorare chiunque. Io li guardavo in televisione con la mia famiglia, e cercavo di imitare sul campo quello che vedevo sul piccolo schermo».

Dopo un’ottima carriera alla Indianapolis University è arrivato il momento di diventare professionista. Com’è arrivata la scelta di Pavia?

«Nell’estate 2005 ho disputato un’ottima Summer League con la maglia dei Dallas Mavericks, e mi sono messo in luce in particolare nella partita contro i Miami Heat. Diverse squadre mi avevano messo gli occhi addosso, ma Pavia mi fece una proposta concreta che avrei dovuto accettare o rifiutare in breve tempo. Accettai e partii per l’Italia».

A Pavia gioco addirittura con un giovanissimo Gallinari e col trevigiano Ivan Gatto. Se li ricorda?

«Come no, Danilo era un ragazzo promettente già allora. Si vedeva che sarebbe diventato un grande giocatore. E Ivan aveva già tanta esperienza. Coach Finelli mi aiutò tantissimo ad ambientarmi, poi a dicembre di quell’anno mi trasferii in Israele».

La sua carriera l’ha portata a giocare – e vincere – con le formazioni più forti d’Europa. Ce n’è una in particolare che le è rimasta impressa?

«Devo dire che mi sono trovato bene in tutte le squadre in cui ho giocato. In Spagna, al Baskonia, avevo un ottimo allenatore, al Panathinaikos e al Maccabi, in Israele, ho trascorso momenti indimenticabili. Poi ovviamente c’è l’Italia».

C’è una partita che le è rimasta particolarmente impressa tra tutte quelle che ha giocato?

«Sicuramente la gara-7 con Sassari che ci ha dato lo scudetto. Eravamo sotto 21-4 al termine del primo quarto, non avevamo mai vinto fuori casa nella serie finale. È stata una vittoria incredibile, al termine di una serie memorabile».

Anche coach Menetti si ricorda bene quella serie: finchè lei non è arrivato a Treviso, l’avrà rivista un po’ di volte nei suoi incubi notturni...

«Chissà (ride, ndr)! Reggio ebbe diverse occasioni per vincere, più che altro buttarono via una grossa chance in gara-6 a Sassari, dove vincemmo al termine di due supplementari. Fu quella la svolta della serie, vincere quel match ci diede la consapevolezza che avremmo potuto farcela a vincere lo scudetto».

Com’è cambiato il basket italiano in quattordici anni e come è cambiato David Logan in questo tempo?

«È un gioco che si è evoluto, ora ci sono giocatori un po’ più fisici e un po’ meno tecnici. Bisogna sapersi adattare, io ho cercato di adattarmi al basket europeo velocemente e penso di esserci riuscito».

Quanto è importante per lei la famiglia?

«Moltissimo. Sono sposato con Kiarra e ho due figli, Kylee di 8 anni e Dallas di 4. Arriveranno nei prossimi giorni a Treviso. Loro sono importantissimi per me, non è stato facile in passato stare tanti mesi lontano da loro e mi piace che siano con me. Kylee poi adorerà tornare in Italia, parla già abbastanza bene la vostra lingua».

Sul braccio destro ha un tatuaggio con scritto: “In God I trust”. È credente?

«Sì, sono molto credente e vado regolarmente in chiesa con tutta la mia famiglia. Per me è importante, come è importante fare beneficienza».

A proposito di tatuaggi, ce n’è uno a cui è particolarmente legato?

«Due in realtà: uno sul braccio destro e uno sul braccio sinistro. Sono delle orme di piedi con scritti sopra i nomi dei miei figli».

Ci racconta una curiosità fuori dal campo?

«Volentieri. Da circa sei mesi ho aperto a Chicago una piccola ditta di trasporti. Abbiamo due camion, uno lo guida mio padre che fa quel lavoro da vent’anni. L’attività va bene, sto prendendo confidenza con il business e gli incartamenti».

Per concludere, lo sa che il tiramisù è nato a Treviso?

«Oh, non lo sapevo! Ne vado matto, qui in Italia tutta la cucina è favolosa».

Ubaldo Saini

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