Per Carla «Ninja» Rossetto ogni tatuaggio una storia da ricordare o nascondere

 CONEGLIANO.
Questione di centimetri. Pochi nell'altezza, ma che spinti dalle gambe e da un cuore così, fanno coprire metri quadrati di campo. E' il destino del libero: buttarsi su ogni pallone che sta cadendo a terra. Questione di centimetri e di pelle, che Carla Rossetto, «Ninja», ha deciso di colorare con i tatuaggi. «Sono sette, ma presto diventeranno nove», confessa il libero Spes. Carla ha una passione per i disegni sul corpo, ma non per moda: «Secondo me il tatuaggio deve sottolineare un momento importante. I miei marcano passaggi fondamentali della mia vita e della mia carriera. Raccontano cose che ho vissuto. Anche quelli che rappresentano un passaggio negativo, mi ricordano che ce l'ho fatta». Sette segni, neri o colorati, praticamente su tutto il corpo, fatti per sè. «Il primo che mi sono fatta è quello sul polso sinistro. E' l'iniziale, in ideogramma cinese, di Loris, il mio ragazzo. Lui si è tatuato la mia iniziale». Raccontare il passato sulla pelle, rendendolo presente in eterno. Un simbolo di unione o un segno delle radici, come l'incrocio tra le iniziali dei genitori e di suo fratello che formano il tatuaggio che Carla porta dietro l'orecchio destro. «Quello che ho sul collo è un "9", numero di maglia di mio fratello Andrea quando giocava a rugby. L'ho fatto dopo la stagione a Forlì. Volevo giocare con lo stesso numero quando sono arrivata a Conegliano, ma era già assegnato. Così ho preso il 12, che era il numero di gioco del miglior amico di mio fratello, morto in quello stesso anno». Segni di dramma, ma anche di rinascita, come la Fenice che il «Ninja» ha impresso sul fianco destro: «Risale al gennaio di quest'anno, dopo la bufera esplosa in squadra e i pessimi risultati in campo. Dovevo e dovevamo riprenderci, rinascere dai nostri errori». Sul piede destro c'è scritto Carpe diem in caratteri arabi: «Dicono che i tatuaggi debbano essere in numero dispari. Dopo la retrocessione a Reggio Emilia e senza prospettive per me, avevo quattro tatuaggi. Mi sono tatuata il quinto, «Carpe diem», e dopo due settimane la Spes mi ha chiamata. Nessuna superstizione: più un gioco o il destino, forse». E a Conegliano è arrivata la scritta in koreano sull'avambraccio destro, identica a quella di «Cisky» Marcon, ora a Busto Arsizio «Era la stagione della promozione in A/1 e Mario Martinez ci chiamava "sorelline". Io e Francesca abbiamo deciso di scrivercelo per suggellare il nostro rapporto». Il settimo è arrivato poco prima dell'estate scorsa, ma Carla non ne svela il significato: «sono ancora caratteri arabi. E' una parola a cui sono molto affezionata, che descrive il mio legame indelebile con il Conegliano, che non si scioglierà mai. Per il momento rimane una cosa mia e di chi sa...». Ne stanno arrivando altri due, rivela Carla: «Voglio scrivermi gli ultimi due versi della poesia «Invictus», quella che, nel film, Mandela regala al capitano della nazionale sudafricana di rugby. Il nono lo sto progettando». I versi recitano: «io sono il padrone del mio destino/io sono il capitano della mia anima».Ogni tatuaggio è una goccia di futuro che proviene dal passato, per questo il «Ninja» dice di non avere paura della loro permanenza o del dolore che si prova a farli. Una storia, o una poesia scritte per sempre.

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