Luca Toni spinge il Treviso di mister Bellotto «È come un padre, non fatelo arrabbiare»

L’ex bomber biancoceleste: «Mi ha lanciato, gestiva il gruppo alla grande. Ora può riportare la squadra dove merita»



A Treviso nell’estate del ’99 arriva un ragazzo “quasi sconosciuto” di 23 anni, acquistato dalla Lodigiani in C1. Era una promessa, doveva essere il vice di Gigi Beghetto, punta centrale per il quale l’allenatore stravedeva, e su di lui aveva impostato il modulo di gioco. Invece mister Gianfranco Bellotto lo manda in campo, fa gol e da quel giorno diviene insostituibile: "nasce" il Luca Toni che ora conosciamo tutti. Passa un anno, tutti lo vogliono e in A, dopo averla sfiorata con i biancocelesti, ci arriva con il Vicenza, per poi diventare il bomber della Nazionale che nel 2006 diventa campione del Mondo. Luca Toni è forse stata la miglior scoperta del genio e del coraggio di Bellotto, lanciato ai tempi della sua prima avventura nella Marca: «Io credo nel giocatore, ho creduto in Toni, quindi insomma…», ha detto l’allenatore, riferendosi ai suoi nuovi calciatori, nella sua prima conferenza stampa post-partita della seconda esperienza trevigiana, dopo la vittoria sul Godega. Chiamato in causa, Luca Toni non poteva non rispondere al suo “scopritore”.

Toni, ci racconti com’è andata la sua unica stagione a Treviso?

«C’era il direttore sportivo Renato Favero che mi disse che mi voleva il Treviso. Venivo dalla Lodigiani, avevo fatto molto bene. Bellotto aveva l’idea di giocare con una punta sola poiché c’era Beghetto, che tra l’altro è diventato uno dei miei più grandi amici nel calcio e fuori, e abbiamo condiviso parecchie cose assieme. Siamo partiti, il mister mi ha buttato dentro alla prima gara, ho fatto gol alla seconda (contro l’Atalanta, ndr) e dalla partita dopo io e Beghetto abbiamo cominciato a giocare assieme. È andata che Gigi ha fatto molto bene, segnando 16 gol, io ne feci 15. È stata l’annata che mi ha permesso di andare in serie A».

Com’è da allenatore Bellotto? Quali sono i suoi pregi e i suoi difetti?

«Era uno che gestiva molto il gruppo. Al di là degli insegnamenti, era un uomo di spogliatoio, era un padre, un allenatore vecchio stampo, adesso sicuramente i tempi sono cambiati. Penso che non avrà tante tecnologie anche ora ma, a volte, in certi spogliatoi è meglio essere padre invece che insegnare calcio. È chiaro che adesso ha preso una squadra di Promozione, quindi un po’ di calcio lo dovrà insegnare perché non tutti i giocatori arrivano formati. Sarà un bel banco di prova: non devi solo gestire ma anche insegnare calcio».

Ha qualche consiglio per i nuovi giocatori allenati da Bellotto?

«Consiglio di non farlo arrabbiare, di trattarlo bene e di ascoltarlo, visto che ci sono molti giovani e lui ha esperienza da vendere».

Quale ricordo conserva di Treviso?

«Da voi sono stato benissimo, Treviso è una città stupenda e viva. Un gruppo fantastico perché ero giovane e i “vecchi” mi hanno trattato bene, andavamo molto spesso a cena insieme, adesso è molto difficile. A Treviso c’era l’idea di uscire, di fare anche l’aperitivo assieme e da lì facevi gruppo. Era un ambiente familiare, una realtà che per un giovane come me era perfetta: ti facevano stare bene e ti gestivano».

Come vede invece questo “nuovo” Treviso?

«Il Treviso non merita la Promozione, spero che qualcuno abbia a cuore la società, che ci sia la voglia, è una città così ricca... Visto il passato, mi piacerebbe tornasse non dico in serie A, ma almeno nei professionisti, perché se lo merita».

Adesso che cosa fa?

«Faccio il papà, il mestiere più bello. Vado in Rai a 90° minuto e giro il mondo con la Nazionale delle leggende».

Quindi è in forma. Se Bellotto lo richiamasse, giocherebbe di nuovo per lui?

«Giocare no, faccio fatica. Sono tornato a giocare con le leggende e il campo è troppo lungo. Che lo accorcino, non sono più abituato. Ma chissà, vediamo, dai. Al mister, intanto, faccio un grande in bocca al lupo». —

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