L’oro olimpico, l’impresa di Baran, Cipolla e Sambo che entusiasmò l’Italia

L’ANNIVERSARIO
Sono cresciuto con il loro mito. Parola di Giuseppe Abbagnale, presidente della Federazione Italiana Canottaggio intervenuto ieri pomeriggio alla festa organizzata per Primo Baran, Bruno Cipolla e Renzo Sambo, il trio trevigiano che ieri, come 50 anni fa, conquistava uno storico, meraviglioso oro olimpico nel “due con” alle Olimpiadi di Città del Messico. Ma ai trevigiani (tanti, oltre 200) che hanno riempito il bocciodromo del Dopolavoro Ferroviario non servivano le sue parole per andare con la memoria a quel 19 ottobre 1968.
Erano otto giorni che il braciere era stato acceso e l’Italia non aveva portato a casa neanche un oro. Ormai era una maledizione che nessuno riusciva a spiegare. Ecco perché il telegiornale aprì con quella notizia: «È arrivato il primo oro italiano alle Olimpiadi di Città del Messico, grazie a tre ragazzi trevigiani». Eccoli lì, Baran-Sambo-Cipolla, un trio che in un battibaleno non fu più solo un equipaggio, ma qualcosa di ben più grande. Fu il primo grande alloro sportivo trevigiano, fu un momento di gioia per un’Italia sconquassata dal Sessantotto. Fu l’inizio del mito. La gara era iniziata alle 19.30, mezz’ora prima del tiggì, ed era stata trasmessa in diretta dalla Rai.
Le famiglie avevano seguito i loro ragazzi con pochi secondi di differita, li avevano visti partire a rilento senza però perdere d’occhio quella Germania Est arrivata in Messico per dominare: «L’obiettivo era stare vicini a loro ai 1.500 metri, per arrivare ai 2.240 metri dell’arrivo in testa», racconta a distanza di 50 anni Primo Baran, che non ha dimenticato un istante di quella straordinaria gara. E come avrebbe potuto? I tre avevano calcolato di perdere 4-6 secondi a quella distanza, ma quando Cipolla si girò alla sua sinistra per controllare la situazione li vide là, pochi metri davanti a loro. Ce l’avevano praticamente fatta: «Allora abbiamo aumentato. A dire il vero, Sambo iniziò ad andare un po’ per i fatti suoi. Era fatto così, partiva e non lo fermava più nessuno», ricorda ancora Baran. Cipolla riuscì a gestire quei due armadi di ragazzi, che diedero il tutto per tutto negli ultimi 700 metri. Le immagini inquadrano Sambo remare con tutto il corpo, spingendo indietro anche la testa per ricavare quelle ultime forze. L’oro è lì, ormai sono davanti all’Olanda d’argento, alla Germania Est e alla Danimarca di bronzo. Dopo aver tagliato il traguardo, l’unico con le braccia al cielo è Cipolla. Troppo stanchi Baran e Sambo per abbracciarsi, urlare o anche solo alzare un braccio: «Non è che io mi sia ammattito, dopo il traguardo», ricorda divertito Cipolla. «Ho schiaffeggiato l’acqua per buttarmene addosso, per cercare di appesantirmi». Anche attraverso quel suo gesto è passato il loro oro, l’inizio di un’amicizia che dura ancora oggi nonostante la scomparsa di Renzo Sambo: Cipolla era troppo magro per restare sulla barca, pesava meno di 50 chili. Se prima del via bastava bere un sacco di acqua, all’arrivo bisognava bagnarsi per fare in modo di pesare di più: «Ho fatto quella gara vestito di lana». Ma non è detto che Cipolla abbia sentito tutto il caldo. Era troppo grande quello che avevano fatto. —
Niccolò Budoia
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