D’Antoni: «Hi Fly, giocatore incredibile»

Basket. Il coach di Houston piange la star della Benetton. Pittis: «La morte di Henry è uno choc». Bonora: «Un fratello»

TREVISO. Una volta, alla Virtus Bologna, ne fece 47: mai nessun altro in maglia Benetton riuscì a farne altrettanti. 47 come gli anni, troppo pochi, vissuti tra noi prima che la malattia riuscisse a stopparlo. Il primo giorno da orfani consapevoli di Henry Williams è una uggiosa giornata di marzo, la stessa che ieri ha visto a Milano l’ultimo saluto al padre di un’altra stella di prima grandezza di quella Benetton di 20 anni fa: Ricky Pittis ha un doppio motivo per piangere. «Non me l’aspettavo: sapevo che tempo fa aveva subito un attacco ma ugualmente sono rimasto basito. Come giocatore Henry non si discute ma mi preme sottolinearne la grandezza anche come ragazzo, generoso, serio, simpatico. Ricordo solo un episodio: quando Del Negro venne a giocare al Palaverde in maglia Fortitudo per la serrata Nba (10 gennaio 1999, finì 84-58 per Treviso, Williams scrisse 34 con 8/11 da due, 4/8 da tre e 6 rimbalzi, ndr) tutti i tifosi fischiavano Vinny, senza accorgersi che Henry stava facendo una partita strepitosa. Alla fine, mentre stavamo tornando nello spogliatoio, lo presi letteralmente in braccio e lo riportai al centro del campo perchè gli tributassero la standing ovation». Per raccontare la sua vita ci vorrebbe un libro, e non è detto che qualcuno non lo scriva: la sua carriera di predicatore iniziò quando a Charlotte si presentò al pastore Mike Robinson dicendo: «Stanotte alle 4 Dio mi ha chiamato. Eccomi, sono pronto». Era un 19enne che con gli Usa aveva vinto la medaglia d' oro al Mondiale del '90, oggi Robinson lo ricorda commosso: «Era così pieno di spirito. Non lo ho mai considerato come ex campione».

Non si dà pace nemmeno Mike D’Antoni, con Zele Obradovic uno dei suoi due coach ed ora ad Houston. «Incredibile giocatore e grandissimo uomo: è stato un piacere e un onore averlo potuto allenare in quei due anni. Sempre un sorriso, generoso, disponibile. E come giocava, segnava anche da metà campo». Alla Benetton lo portò Maurizio Gherardini, ora giemme al Fenerbahce: «Grande giocatore e grande persona: un vincente, un trascinatore. Appena arrivato, dopo una delle prime sconfitte restò nello spogliatoio a parlare a tutta la squadra, rincuorandola ed esortandola a non mollare. Un vero leader».

Davide Bonora, che oggi si dedica al paddle, arrivò con lui a Treviso da Verona: Henry era come un fratello: «Notizia terribile ed inattesa, forse non avevo capito la gravità della sua malattia. Negli ultimi mesi avevo anche provato a contattarlo, invano; allora lo voglio ricordare quando nel 2014, a 44 anni venne a Verona per una partita di vecchie glorie, non sembrava malato, anzi fece una gran prestazione, dimostrava 10 anni di meno».

Marcelo Nicola, di un anno più giovane di lui, fece in tempo a conoscerlo nell’ultima stagione trevigiana: il "gaucho" lo piange da Vitoria, dove è responsabile del settore giovanile del club basco: «Sono profondamente addolorato: grandissimo compagno, uomo di spogliatoio, che bello giocare con lui, nei nostri giochi a due ci capivamo al volo. Per me è stato uno choc, non sapevo che avesse quel problema. Di lui mi restano tanti ricordi ma sapere adesso che Henry Williams non c'è più mi lascia dentro tanta tristezza».

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