Giacomo Benvegnù: «Io, Arturo e Piero: su questa panchina siamo ancora in tre»
Il titolare dell’Incontro, locale simbolo del centro, racconta la sua Treviso. «Oggi la nostra città ha una bellezza che non si riesce più a coccolare»

Sulla panchina davanti al Cagnan scorrono le acque e i ricordi. Si riflettono la vita e la città, come in uno stesso specchio. Giacomino Benvegnù guarda il fiume con lo sguardo di chi, per mestiere e per natura, osserva. «Io sono un osservatore — dice — guardo la gente, come si muove, immagino a cosa pensa, e capisco cosa farle mangiare. È il mio modo di vivere».
Fratelli di vita
A ottantadue anni, il titolare del ristorante L’Incontro — locale simbolo della trevigianità, dove sono passate generazioni di clienti — siede accanto al fiume dove tutto scorre, ma niente si dimentica. Vorrebbe accanto a sé due fratelli che suoi fratelli non erano di sangue, ma di vita: Piero e Arturo Filippini, compagni di lavoro e di destino, scomparsi nel 2014 e nel 2020.
«Con loro — racconta — ho condiviso tutto, dal 1959: la fatica, la gioia, la tavola. Li sogno ancora, ogni tanto li vedo. Con loro parlerei del nostro lavoro, della serenità di allora, del piacere di stare insieme ma anche di come fermare un tempo che oggi corre troppo in fretta ma che la tavola ha il dovere, a volte, di far rallentare».
La storia
La loro fratellanza nacque tra cucine, sale e stagioni. Prima a Villa Condulmer, poi tra Venezia e Jesolo fino alle grandi spedizioni all’estero. E accanto al lavoro arrivò anche l’amore: tutti e tre sposarono ragazze di Zerman.
La vita, allora, nasceva spesso a due passi dal posto in cui si lavorava: niente di costruito, tutto naturale, spontaneo, condiviso. Il lavoro, allora, non era solo lavoro. Era il centro di tutto: amicizie, amori, famiglie che prendevano forma senza dichiararlo.
«Noi vivevamo insieme — racconta — si mangiava insieme, si condivideva tutto».
Fu lì, a Villa Condulmer, che arrivarono anche loro: le ragazze di Zerman: «Marisa, Luciana e Anita: le abbiamo sposate». Erano stagioni in cui la vita accadeva a pochi passi dalla fatica. Si finiva un turno e si usciva insieme, si rideva, si ballava, ci si sceglieva. Non eravamo amici: eravamo fratelli. E le nostre mogli erano sorelle».
Ma su tutto, c’era la scuola di Alfredo Beltrame, il creatore del Toulà: «Un maestro dell’ospitalità. Non sapeva fare nemmeno un caffè — sorride — ma capiva subito il cliente, cosa desiderava. Era un osservatore, come me».
Da quella scuola nacque tutto. Il 2 aprile 1970 apre L’Incontro.
«Fu una rivoluzione – ricorda sorridendo - La prima discoteca di Treviso. Per molti fu uno shock. Ma noi osservavamo, e capivamo il mondo trevigiano. E avevamo capito che questa città aveva voglia di novità, di leggerezza e di spensieratezza».
Il nome nacque quasi per caso. «All’inizio doveva chiamarsi Snoopy — ride — ma Alfredo disse: “Se vi siete incontrati qui, chiamatelo L’Incontro”. Aveva ragione. Quel nome dice tutto: è il senso del posto».
Il locale sorge nella Porta Altinia, la più antica della città: un tempo stallo per i cavalli. «Abbiamo cercato di mantenerne lo spirito: cavalli di razza. Nella cucina, nell’accoglienza, nel rispetto. Basta guardare le pietre: raccontano la storia».
Negli anni Settanta arriva, in quella discoteca-ristorante anche il tè danzante delle domeniche pomeriggio: musica, gioventù, un piattino di raviolini panna e prosciutto prima di prendere l’autobus per tornare a casa.
L’Incontro, allora, non era solo un ristorante. Era un palcoscenico.
«Facevamo teatro, sempre — racconta Giacomino — ma senza dirlo. Io osservavo il cliente, lo accoglievo, gli parlavo. E quando doveva andare via, lo salutavo con un sorriso, un gesto. Poi facevo cenno a Pierino: “Vieni, tocca a te”. Lui arrossiva, era più timido, e proprio per questo faceva ridere. Era una rappresentazione continua, ma naturale, senza finzione. Il piacere di vivere insieme. Con Piero non ci siamo mai scontrati — dice — mai una parola fuori posto. C’era un rispetto profondo, una fiducia. Per questo eravamo fratelli davvero».
Treviso ieri e oggi
Poi lo sguardo torna sulla città di ieri: «Era un altro vivere – confida - C’era teatro, c’era gioia. Il buongiorno, la stretta di mano, l’ospitalità vera. Anche la politica era diversa, aveva il passo lento della curiosità, della passeggiata dopo il pranzo, dello stupore di fronte ad un angolo conosciuto ma sempre diverso a seconda delle stagioni e anche degli umori».
Poi Giacomino torna per un attimo agli amici che non ci sono più: «Nessuno di noi era nato a Treviso. Io a Mestre, Piero e Arturo a Zavattarello, in provincia di Pavia. Ma Treviso è diventata la nostra città. L’abbiamo scelta. E chi sceglie un luogo, spesso, lo ama più di chi ci è nato. Perché se lo conquista, lo vive, lo custodisce. Noi Treviso l’abbiamo respirata, amata, servita. Ci ha fatto sentire a casa».
Giacomino guarda la città di oggi. E il tono si fa più lento. «Una volta Treviso aveva un ritmo diverso. Si camminava lenti, ci si salutava per strada: ciao Beppi, ciao Nane. Oggi invece molti tengono gli occhi bassi. Nei negozi senti poco persino un buongiorno. E il buongiorno è la prima forma di ospitalità. È la porta che si apre».
Non è rimpianto. È constatazione. «Abbiamo tanta bellezza intorno: l’acqua, il verde, le pietre antiche. Ma la bellezza bisogna coccolarla. E la felicità bisogna trasmetterla. Se non la semina nessuno, non cresce. Una volta si parlava di vita, oggi si parla di cose. Troppa materia, poco cuore».
Dall’incontro al golf
Dentro L’Incontro, invece, quella Treviso che sorrideva resiste. E lì Giacomino custodisce storie e confidenze. «Un medico di Padova mi ha detto: “Portati nella tomba i tuoi segreti”. E lo farò. Perché non sono scandali. Sono pezzi di umanità. L’ospitalità è anche questo: saper ascoltare e saper custodire». E il mercoledì non si lavora: si gioca a golf. «Mi tiene giovane — ride — è la mia visita specialistica settimanale». Sotto gli occhi della panchina il Cagnan continua a scorrere.
Lui lo guarda e sorride: «Oggi siamo come l’acqua. Andiamo via veloci. Ma ogni tanto bisogna fermarsi, guardare, respirare e dire forte anche buongiorno. È da lì che deve ricominciare tutto».
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Un viaggio per conoscere Treviso attraverso i suoi protagonisti
Il progetto “Una panchina sul Cagnan”, a cura di Domenico Basso, si propone di raccontare la Treviso di ieri, e di immaginare quella di domani, tramite una chiacchierata con alcuni dei cittadini più celebri, non necessariamente titolari di cariche istituzionali, ma volti riconosciuti e riconoscibili della città. La seconda puntata vede protagonista Giacomo Benvegnù, per tutti Giacomino, titolare dell’Incontro. Nelle foto qui sotto, con Piero e Arturo Filippini.


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