Veneto al voto, Tajani frena: «Altre urgenze». Ma Gasparri in pressing: «E’ già tardi»

Dopo il tavolo con i leader, giovedì 11 settembre vertice tra il capogruppo di FI in Senato e il leghista Locatelli. Romeo: «Vogliamo mantenere le nostre Regioni. Compensazioni? Si trovino in altri contesti»

Laura Berlinghieri
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini

Un’altra giornata al Purgatorio. E dunque nessun passo in avanti: né sul fronte delle Regionali, né su quello dell’Autonomia.

Giovedì 11 settembre i leader nazionali hanno deciso di mandare avanti le “seconde linee”. E quindi, dopo il faccia a faccia tra Matteo Salvini (Lega) e Antonio Tajani (Forza Italia), giovedì è stata la giornata delle seconde linee: Stefano Locatelli e Maurizio Gasparri, responsabili dei rispettivi partiti per gli enti locali.

Impegnati in un vertice al Senato, dedicato proprio alle elezioni. «Ma abbiamo parlato solo di provinciali in Sardegna» si schermisce l’azzurro, capogruppo a palazzo Madama. Per poi lasciarsi andare: «Certo, ho detto a Locatelli che sono molto preoccupato per il Veneto. Perché questa matassa si dovrà pur sbrogliare».

E però, detto da un forzista, stona. Perché – si dice – le trattative si sarebbero bloccate proprio su un ostacolo azzurro: Antonio Tajani, che anche giovedì non ha perso l’occasione per tirare la palla avanti. «Non ci sono problemi politici di coalizione. Di Regionali non abbiamo proprio parlato» ha detto ai cronisti, «Il vertice dei leader di centrodestra è stato più breve del previsto perché, dopo l’attacco in Polonia dei droni russi, la premier aveva una riunione internazionale. Vedete quello che succede nel mondo? Ci sono cose più urgenti, il dovere istituzionale prevale sull’attività di partito. Visto che non si vota domani mattina...».

Ma lo rimbrotta Gasparri: «A Tajani io non so più come dirlo: sul Veneto ci dobbiamo dare una mossa. Perché è chiaro che il centrodestra lì vincerà comunque. Ma questo ritardo provoca danni in Puglia e in Campania, dove la situazione è ben diversa. Più tempo perdiamo e più rischiamo».

E quindi la Lega spinge. E pure Fratelli d’Italia, in Veneto, accelera: giovedì il segretario padovano Enoch Soranzo ha sollecitato i suoi a inviare le disponibilità a candidarsi entro domenica. Poi i nomi saranno spediti al coordinatore regionale Luca De Carlo e al responsabile nazionale Giovanni Donzelli, che ieri ha ribadito: «Non stiamo facendo un giochetto triste di piantare le bandierine, ma stiamo serenamente scegliendo i migliori candidati ovunque: troveremo la quadra, ci vorrà qualche giorno».

Nel Vicentino, è spuntata la suggestione Elena Donazzan: decisa a ricandidarsi – secondo alcuni, fosse anche solo per superare nelle preferenze il compagno di provincia Sergio Berlato – e pronta, quindi, a lasciare il Parlamento Europeo.

E la Lega? È costretta ad attendere. Resta alla finestra, impegnata a cogliere e interpretare ogni minima folata di vento. C’è chi è più portato a cedere alle dichiarazioni, come l’assessore allo Sviluppo Roberto Marcato, con una doppietta televisiva notevole: «Se candidano Vannacci, sono pronto ad andare con Manildo», e poi «Del futuro di Zaia mi preoccuperò quando lui si preoccuperà del mio».

Ma c’è anche chi sceglie un eloquio più istituzionale. Come Massimiliano Romeo, capogruppo del partito al Senato, impegnato a difendere gli interessi della sua regione: «In Lombardia si vota tra tre anni, mi sembra un po’ presto e frettoloso mettere le due cose sullo stesso tavolo», il riferimento all’ipotizzato scambio con la presidenza veneta. Ma a sua volta pronto a chiedere di accelerare, anche alle nostre latitudini: «Vogliamo mantenere le Regioni che governiamo, anche senza il terzo mandato. Eventuali compensazioni si potranno trovare in altri contesti». 

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