Veneto Banca: chiesto il rinvio a giudizio per Consoli, Trinca e altri otto
Il reato è di bancarotta fraudolenta, aggravata dal rilevante danno patrimoniale pari a circa 320 milioni, in relazione al crac del 2017

La Procura della Repubblica di Treviso ha chiesto il rinvio a giudizio per il reato di bancarotta fraudolenta, aggravata dal rilevante danno patrimoniale pari a circa 320 milioni, per dieci indagati in relazione al default di Veneto Banca del 2017.
I principali imputati, accusati a vario titolo di aver approvato finanziamenti senza garanzie ad una serie di soggetti, per lo più industriali, sono l'ex amministratore delegato ed ex direttore generale Vincenzo Consoli e l'ex presidente Flavio Trinca, oltre all'ex responsabile dell'area commerciale Mosè Faggiani ed il commercialista Michele Stiz, appartenente al collegio sindacale.
Per due dirigenti, Michele Barbisan e Roberto Mescalchin, è stata invece avanzata una richiesta di archiviazione.
Le contestazioni
Secondo i pm, nel 2014 Trinca e Consoli avrebbero sottoscritto un accordo transattivo che prevedeva l’erogazione a Consoli della cifra di oltre tre milioni e mezzo, un accordo al ribasso rispetto a quello stipulato nel 2011 e che ordinava la transazione di un importo di oltre 11 milioni e 200 mila euro «a titolo di retribuzione variabile», vale a dire per l’impegno dell’amministratore delegato ad osservare la clausola di salvaguardia, il patto di non concorrenza, includendo anche il trattamento di fine mandato.
Accordo siglato da Trinca, «senza farlo esaminare in dettaglio dal cda»: le lettere che impegnavano la banca, infatti, sarebbero state sottoscritte senza essere esaminate in dettaglio dal consiglio di amministrazione, che si sarebbe limitato ad una valutazione sommaria e che aveva conferito una ampia delega all’allora presidente di Veneto Banca. Ma quella particolare decisione non poteva essere delegata.
Nel maggio 2014 Consoli smette la sua carica da amministratore delegato, diventando direttore generale, cosa che ha spinto i due a siglare un successivo accordo: da oltre 11 milioni a 3,6. Cifra corrisposta «immediatamente nel mese di maggio 2014, distraendo così risorse finanziare» della società già profondamente in crisi e già profondamente in debito con i propri correntisti.
La Procura contesta il fatto che il patto transattivo, sia stato firmato da Trinca senza che ne avesse i poteri.
Non solo, sarebbero scomparse le clausole di “malus” e “claw-back”, ovvero quei meccanismi contrattuali che avrebbero consentito di ridurre e persino azzerare proprio la parte di remunerazione variabile o di incentivo che l’istituto di credito doveva ancora corrispondere al proprio manager o di richiederne la restituzione, anche parziale, in caso di avvenuta erogazione se ci fossero state valutazioni negative, successive all’accordo, delle performance aziendali. E nel caso di comportamenti fraudolenti o colpa grave.
Trinca e Consoli sono accusati di bancarotta per distrazione. Un capo d’imputazione che si aggiunge agli altri per cui sono state chiuse le indagini preliminari nell’ottobre scorso.
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