Va dal giudice per avere la cura Di Bella
Con un ricorso d’urgenza, una mamma di 38 anni malata di tumore al fegato chiede che il tribunale ordini all’Usl 9 di pagarle la «cura Di Bella». La donna, su indicazione di un medico trevigiano, sta assumendo i farmaci del medico modenese, e chiede di essere rimborsata. Ma l’Usl non lo può fare

Il professor Di Bella, creatore della cura contestata
TREVISO. Malata di cancro al fegato chiede di essere curata con il metodo Di Bella: l'Usl 9 rifiuta e il caso finisce davanti al giudice. L'udienza, convocata a seguito del ricorso d'urgenza firmato dalla signora, si è tenuta martedì scorso in tribunale a Treviso. Il giudice Massimo Galli ha deciso un rinvio per esaminare tutta la documentazione medica presentata dalle parti. L'accaduto riporta alla luce il «fenomeno» Di Bella, la multiterapia antitumorale lanciata dal medico di Modena che fece grande clamore tra il '97 e il '98, prima di essere dichiarata totalmente inefficace dal ministero della Sanità a seguito della sperimentazione in alcuni ospedali.
Ma i sostenitori di quel metodo - basato sulla somministrazione di ormoni e vitamine - contestarono gli esiti sostenendo che gli accertamenti furono condotti con farmaci non integri. Col risultato che se la medicina ufficiale ha bocciato senza appello il metodo e lo ha bandito dalla sanità pubblica, c'è ancora oggi chi resta convinto della sua utilità ed efficacia, almeno in determinate circostanze. E' il caso, appunto, della signora trevigiana, trentottenne, sposata e madre di un bimbo, titolare di una piccola attività, che scopre la sua malattia nel settembre 2009, a seguito di forti dolori addominali di cui soffriva da qualche tempo.
La risonanza magnetica a cui viene sottoposta in ospedale rileva la presenza di alcune masse nel fegato. In ospedale ad Oderzo viene eseguita una laparotomia e gli accertamenti successivi confermano che si tratta di un tumore. Le masse, spiegano ancora i medici dell'Usl 9, non sono però suscettibili di essere curate con particolari terapie: l'unico, vero, intervento definitivamente risolutivo sarebbe il trapianto d'organo. Ma si tratta di un'operazione eseguibile soltanto quando non ci sono più speranze. La signora decide a quel punto di consultare alcuni specialisti, sia a Milano che nella Marca, per capire se esiste qualche alternativa.
Ed è proprio un oncologo trevigiano a parlarle di quella multiterapia che sembrava caduta nell'oblio, sepolta dalle accese polemiche che la accompagnarono: il metodo Di Bella, appunto. Lo specialista prescrive alla signora diversi farmaci: ferro, melatonina, axeroftolo e somatostatina. Si tratta di medicine escluse dal prontuario del ministero della Sanità, non inserite in classe A e come tali acquistabili solo a prezzo pieno. La signora decide di provarle e a fine luglio inizia la cura, affrontando una spesa di circa 1.000 euro mensili. I risultati, sostiene la signora, sono immediati: non solo si sente meglio a livello fisico generale, ma assicura anche di avere riscontri specifici sulle masse tumorali che non si sarebbero ulteriormente espanse. La trentottenne, convinta che nel suo caso e per la sua particolare patologia, il metodo Di Bella stia funzionando, decide di continuare la cura. Per questo si rivolge all'Usl 9 chiedendo la prescrizione dei farmaci che sta utilizzando.
Inevitabile la risposta negativa da parte dell'azienda sanitaria trevigiana: il metodo Di Bella è fuori dal protocollo e i farmaci sono esclusi dal prontuario del ministero. Ragion per cui, è la conclusione dell'Usl, il sistema sanitario non può farsi carico di tale spesa. Ma non è solo un problema economico: i medici, soprattutto, non credono all'efficacia e alla bontà della terapia. La signora non si dà però per vinta e, assistita dall'avvocato Giorgio Dussin, presenta un ricorso urgente in tribunale affinché - sulla vicenda - si esprima il giudice civile ordinando all'azienda sanitaria la prescrizione dei farmaci. Martedì scorso si è tenuta la prima udienza, davanti al giudice Massimo Galli. Il legale della signora ha presentato le cartelle cliniche, mentre l'Usl 9, rappresentata dall'avvocato Piero Pignata, ha esibito documentazione medica che contesta il metodo Di Bella. L'azienda sanitaria ha però voluto evitare il muro contro muro proponendo alla signora una terapia alternativa di supporto. Il giudice ha deciso di rinviare l'udienza al prossimo 16 novembre: in quella sede esaminerà gli ulteriori documenti che le parti depositeranno decidendo sul caso.
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