Referendum: il voto è politico, come sempre
Tutti i referendum sono politici. Toccano tematiche che riguardano la nostra vita (e quelli dei nostri figli), oggi e domani. I quattro quesiti sui quali votiamo ancora fino alle 15, riconoscendo, ma non apprezzando, la legittima facoltà, non il «diritto», di astenersi, non fanno eccezione. Questi referendum chiedono di abrogare quattro leggi approvate dai governi di centro-destra. Gli elettori che voteranno «Sì» sono perfettamente consapevoli di esprimere la loro contrarietà a quelle leggi mandando chiaro e forte il segnale che desiderano che vengano cercate fonti energetiche diverse dal nucleare, che la gestione dell'acqua non deve essere né liberalizzata né, tantomeno, privatizzata, che ritengono che la legge debba essere uguale per tutti e che non debba esistere nessun «legittimo impedimento», neppure per il capo del governo, grazie al quale possa evitare di presentarsi in tribunale. Di conseguenza, gli elettori che voteranno «No» sanno che vogliono anche esprimere il loro sostegno al governo in carica e alla legislazione esistente sulle materie oggetto di referendum. Stupisce, allora, che, da un lato, persino i promotori dei referendum sostengano che il voto non è politico, evidentemente per cercare di ottenere il sostegno di quei «moderati» che non desiderano che il loro «Sì» vada ad aggiungersi al «Sì» espresso dagli oppositori del governo Berlusconi. Stupisce ancora di più che il governo di centro-destra, i parlamentari della maggioranza, lo stesso capo del governo non difendano in maniera strenua e convinta, proprio con il voto, le leggi da loro formulate e approvate. Berlusconi ha dichiarato che crede che non andrà a votare, ovviamente facendo sapere ai suoi sostenitori che intende fare fallire il referendum per mancanza di quorum. Quota 25.209.346 votanti, ovvero il 50 per cento più uno degli aventi diritto, non è certamente facile da raggiungere per i partiti dell'opposizione (Udc inclusa) che nel 2008 ottennero all'incirca 17 milioni di voti. Tuttavia, l'insoddisfazione nei confronti del governo, che si è già espressa nelle elezioni amministrative da Milano a Napoli, da Trieste a Cagliari, da Novara a Crotone, costituisce una premessa confortante. Quello che sarebbe davvero utile, in una democrazia che volesse diventare di buona qualità, è che il maggior numero di elettori possibile esprimesse le sue preferenze. Nucleare, acqua, eguaglianza davanti alla legge sono tematiche cruciali nella vita di una nazione. Lasciare che vengano decise da coloro che, per ignoranza, per impossibilità di votare, per incapacità di argomentare le proprie opinioni, per partigianeria, incoraggiati a non andare alle urne dai loro partiti di riferimento, si astengono, non è una buona cosa per l'Italia. Può darsi che il governo, che ha già molti altri problemi, ne esca indenne. E' sicuro che non soltanto non potrà vantare la bontà delle sue leggi eventualmente rimaste in piedi per mancanza di quorum, ma non saprà neppure di quale consenso ancora gode nel paese. Non da ultimo, anche se l'argomento non interessa il centro-destra, bisognerebbe evitare il rischio che il più importante strumento di democrazia diretta, il referendum abrogativo, esca malconcio dal fallimento del quorum. Sarebbe un pessimo risultato per la già non robusta democrazia italiana.
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