«Non fomentiamo, noi ascoltiamo»

Gaia Righetto di Django contro le accuse della Diocesi: «Giusto ribellarsi a Cona»
Zago agenzia foto film Treviso protesta profughi davanti prefettura
Zago agenzia foto film Treviso protesta profughi davanti prefettura
TREVISO. Ad assistere alcuni dei migranti inviati a Treviso dopo la protesta di Cona, oltre ai rappresentanti sindacali dell’Usb c’erano anche i giovani del centro sociale Django che oggi rigettano al mittente l’accusa avanzata dalla Diocesi di Padova che negando l’accoglienza nelle parrocchie dei richiedenti asilo scappati dal grande centro veneziano ha parlato di «strumentalizzazioni», criticando esplicitamente «chi illude quei ragazzi di trovare sistemazione alternativa a quella proposta dagli organi competenti».


«Assurdo parlare di strumentalizzazioni» replica Gaia Righetto di Django, «vuol dire non voler vedere qual è la realtà, negare che questi ragazzi possano scegliere autonomamente di rifiutare una situazione di accoglienza che è inadatta, problematica, inaccettabile e densa di criticità come hanno tra l’altro più volte ammesso anche gli stessi responsabili della gestione dei migranti nel veneziano». Secondo la Righetto, «è un pensiero pericoloso, che sembra anche negare che queste persone abbiano capacità di comprensione e ragionamento». E poi incalza: «Noi o sindacati non abbiamo strumentalizzato nè fomentato nessuno, casomai abbiamo ascoltato le lamentele e le disgrazie di persone costrette a vivere in una situazione allucinante che deve trovare una soluzione al più presto». Nel mirino il centro di Cona, che accoglie «centinaia di migranti più di quanto deve», in condizioni «al limite». «Tra chi ha deciso di uscire e marciare c’erano ragazzi che piangevano, e non soltanto per le esperienze patite per venire in Italia, ma per la stessa accoglienza ricevuta qui. Parliamo di dignità umana, di diritti, volere che vengano fatti valere non è strumentalizzare o fomentare niente. Se a Cona non si vive, non si può pensare che i richiedenti asilo debbano continuare a subire una simile condizione». Di qui l’affondo alle cooperative e a chi gestisce e coordina l’emergenza immigrazione: «Ci sono privati che vengono pagati per dare servizi ai migranti, e non parliamo solo di un letto e un pasto, parliamo di corsi di lingua, progetti di lavoro, piani di integrazione. e c’è una struttura statale che ha l’obbligo di vigilare affinchè i contratti con i privati, lautamente pagati, vengano rispettati» incalza la Righetto, «se c’è un problema Cona, vuol dire che il sistema non ha funzionato. Pretendere che si prosegua così è inaccettabile come pensare che i migranti debbano pagarne il fio».
(f.d.w.)


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