Mauro non è «nazi»: ecco la prova

Stupiti i suoi amici a Castelfranco: «La politica? Non gli interessa»
Non è il bisessuale che finge di essere dentro la casa. E non è nemmeno Atom Takemura, batterista del gruppo di estrema destra ZetaZeroAlfa, come impazza sul web. La somiglianza tra i due c’è, ma un tatuaggio li distingue (come evidenziamo nelle foto a lato). Chi è allora Mauro Marin?


Per la città del Giorgione, dove lo conoscono in molti, il protagonista del Grande Fratello 10 è semplicemente «uno strano». Buono ma strano. Tra amici e conoscenti è il commento più frequente.


Il fratello di Mauro Marin, Matteo, dice sia «per via dell’esperienze all’estero», in Belgio dove ha fatto l’Erasmus. Altri ritengono sia solo l’effetto di una personalità «sopra le righe», in positivo come in negativo.


«Genio travestito da imbecille», lo ha definito la Gialappa’s band lunedì sera, durante l’edizione di «Mai dire Grande Fratello». Per lui hanno coniato il soprannone di «Grande salame», alludendo all’attività economica della famiglia Marin a Castelfranco, proprietari per l’appunto di un salumificio.


Certo è che, in uno modo o nell’altro, il nostro sta catalizzando su di sé l’attenzione di molti, castellani e non. Ogni lunedì sera sono parecchi gli amici che si riuniscono nella sala blu della trattoria «Da Profeta», quella della famiglia Marin, per seguire passo passo lo show in prima serata. Sotto la televisione a schermo piatto pende una grande bandiera della Serenissima, «ma a Mauro la politica interessa poco», dicono i conoscenti nei bar del centro di Castelfranco. Salvo la palestra, dove aveva cominciato a fare arti marziali, le tracce più fresche del Marin partono da casa, sopra la trattoria alle porte della città, e si perdono tra i locali di Castelfranco: il bar Centro, l’ex sala giochi vicino alla stazione delle corriere, il pub. Sono le tappe delle serate con gli amici o delle pause da lavoro. Quelle dove «le storie» su Marin, in questi giorni, sono pane per curiosi.


Ce n’è per tutti i gusti, da quelle formato «amarcord» della battaglie di quartiere tra i ragazzi a est e quelli a ovest di via Brenta, a quelle sui primi approcci «con sorpresa» sulla pista della discoteca Deniro, quando aveva più o meno sedici anni.


Poi c’è chi ricorda il «periodo nero», quello della depressione seguita a una storia d’amore andata a finire male. «Quello è stato un momento difficile - ammette il fratello Matteo - e l’ha superata».


Il resto? Come in ogni storia di paese, verità e invenzione vanno a braccetto, e Mauro Marin non era certo «farina da far ostie» fanno intendere gli amici. Quindi pane non manca.


A scuola? «Nè matto per lo studio, nè lavativo», ricorda Ezio Pierantozzi, il suo insegnante di italiano all’istituto tecnico Martini. Tant’è che Mauro arriva alla laurea senza farsi mancare nulla. Poi passa al salumificio del padre. I vicini ammettono: «Ha sempre lavorato». Ora sta chiuso in casa sotto l’occhio vigile di decine di telecamere. Per quanto tempo ancora? Castelfranco è divisa tra chi lo ritiene «l’unico capace di tenere alta l’attenzione sul programma e dire cose sensate» e chi lo vede sempre a rischio esclusione proprio per il suo essere «strano».


All’inizio dissero che era lui il trans del Big Brother 10. Smentita subito. Poi fecero girare la voce che aveva partecipato alla spedizione punitiva contro Adel Smith: smentita pure quella. Adesso questa storia della band neonazi. Smentita già lunedì sera in internet da Gianluca Iannone, leader dei ZetaZeroAlfa: «Il nostro batterista? Lavora in ospedale, non sta certo in tv al Grande Fratello come Marin». Insomma, operazioni mediatiche abilmente costruite dalla produzione.


Com’è a Castelfranco con Mauro in tivù? Ci si aspetterebbe una risposta accorata, entusiasta ma a casa Marin la televisione si accende il lunedì sera, e solo se c’è tempo. Mentre mamma Valeria segue il bancone del Profeta, nel salumificio di Treville il resto della famiglia sgobba, e più del Grande Fratello parla il «fratello maggiore»: «Senza Mauro va che siamo una persona in meno - chiosa - e si deve lavorare di più». L’anima veneta pragmatica che riaffiora. E tanti saluti alla Marcuzzi.

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