FdI, si allarga il dissenso: «Campagna gestita male. Errore cedere alla Lega»

Dopo Donazzan, critici anche Rucco, Bond e Zaccariotto: «Urge una riflessione». Ma Giacinti e Pavanetto: «Il partito ha fatto il suo, siamo in una coalizione»

Sabrina Tomè
Dopo il voto regionale in Veneto partono le riflessioni interne a FdI
Dopo il voto regionale in Veneto partono le riflessioni interne a FdI

La palla, l’eurodeputata Elena Donazzan, l’ha alzata eccome. E la schiacciata non si è fatta attendere. Tutti ora concordano sulla necessità di una «riflessione interna», con sfumature diverse sulla profondità della stessa e sulle teste che potrebbero cadere.

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Elena Donazzan

La data della «resa dei conti», che nessuno vuole chiamare così ma che di questo si tratta, non c’è ancora. Però non si andrà oltre la prima metà di dicembre, assicurano da dentro il partito. Donazzan, dunque, con la schiettezza che le appartiene, ha messo in fila quelli che a suo avviso sono stati gli errori costati a Fratelli d’Italia il deludente risultato elettorale: dalla rinuncia al candidato presidente a una campagna elettorale con divisioni e scarso coinvolgimento. Il dibattito è articolato, l’analisi - com’è naturale che sia - piena di sfaccettature.

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Prima del voto

«Il risultato non è stato purtroppo quello che ci aspettavamo, pensavamo di fare meglio come partito. Credo vada fatta un’analisi interna del voto per capire dove possiamo andare a migliorare, anche rispetto alla coalizione. La Lega ha fatto un ottimo risultato grazie principalmente a Luca Zaia. La sua forza la conosciamo. Ma è un dato di fatto che serve una riflessione interna», sottolinea Francesco Rucco, ex sindaco di Vicenza, eletto in consiglio regionale. Che dettaglia sugli elementi da portare alla riflessione: «Su base regionale potevamo fare una campagna più martellante, il coordinamento della campagna elettorale su base regionale andava fatto meglio». Certo, avverte Rucco, molto è stato fatto da parte dei singoli candidati che hanno corso sul territorio. E insiste sulla necessità di una riflessione interna «da fare quanto prima per ricominciare a motivare i cittadini a votare Fratelli d’Italia».

Di una campagna elettorale problematica parla anche Francesca Zaccariotto, ex presidente della Provincia veneziana e assessore in Comune a Venezia: «Le aspettative erano ben diverse vista la situazione nazionale. Serve una riflessione, anche perché Venezia ora va al voto. Questa è un’occasione che non possiamo permetterci di perdere per fare un’analisi, per capire cos’è mancato e per evitare di sottovalutare quanto si è verificato in questa campagna elettorale. È mancato un lavoro complessivo, per la provincia di Venezia si è generata una confusione per cui i candidati hanno lavorato singolarmente, ciascuno si è mosso con le proprie forze. Se ci fosse stato un lavoro di coppia avremmo molto probabilmente prodotto un risultato diverso. È mancato un coordinamento».

Il candidato presidente

E poi c’è il nodo del mancato presidente. «Fratelli d’Italia doveva giocarsi l’opportunità di avere la presidenza della Regione», sottolinea Zaccariotto, «Siamo andati avanti fino all’ultimo con questa discussione e abbiamo affrontato la campagna elettorale solo gli ultimi 30 giorni, mentre la gente si era creata delle aspettative visto il risultato nazionale e visto il lavoro che Giorgia Meloni sta facendo. I cittadini non hanno capito. C’è un altro aspetto: non si può decidere che non si vuole la lista Zaia e poi accettare che sia capolista in tutte le province, per di più facendolo passare da vittima. Il risultato? La Lega al 34% con 19 consiglieri e Fratelli d’Italia con 9, pur essendo primo partito a livello nazionale. È una situazione che merita assolutamente delle riflessioni; tra persone intelligenti si deve esaminare dove si è sbagliato o cosa

«Si poteva fare diversamente»

Filippo Giacinti, neoeletto a Palazzo Ferro Fini con un pacchetto di preferenze decisamente pesante visto che è stato il più votato del centrodestra dopo Elisa De Berti (senza ovviamente considerare Zaia), difende la campagna elettorale: «Ognuno ha fatto la sua parte», assicura, «La presenza del partito nel sostenere i candidati si è sentita, qui sono arrivati i vertici del partito, dal coordinatore regionale ai parlamentari europei, ai ministri alla premier».

Altro discorso è la figura del candidato alla presidenza: «È vero che il risultato è stato sotto le nostre aspettative, ma dobbiamo capire che il partito, con generosità, ha lasciato la presidenza alla Lega e questo, per forza, ne ha comportato lo slancio. Una decisione presa a livello nazionale, in cui vanno considerati equilibri politici più alti. In più c’è stato l’effetto trascinamento di Zaia e il combinato disposto di questi due fattori ha portato a un ridimensionamento dei voti».

Dario Bond, a sua volta appena eletto in Consiglio regionale, va dritto al punto: «Un candidato nostro era la strada più opportuna, seria e sicura. E doveva essere portato a casa perché c’era il clima giusto. L’elettore veneto si aspettava questo segnale e invece c’è stata la retromarcia e l’elettore si è comportato di conseguenza. È come il fustino del Dixan: se c’è il garantito, allora prendo quello e allo stesso prezzo. La Lega divisa fino a pochi mesi prima si è compattata ed è diventata granitica, con tutti che hanno remato dalla stessa parte. Poi, nel momento in cui concedi il presidente alla Lega e hai quello uscente che furbescamente fa la vittima del sistema dicendo “non mi hanno più voluto, non mi hanno dato il terzo mandato”, crei un mix talmente esplosivo che chi è bravo nella comunicazione lo fa diventare oro. Zaia ha trasformato lo sterco, quello di non essere più candidato, in oro, come un alchimista del Medioevo.

Quindi era difficile vincere contro un mix esplosivo di questo tipo. Ma non mi aspettavo un’onda così importante, me ne sono reso conto quella sera al Palageox, quando ho visto i leghisti arrivare tanto numerosi».

La coalizione prima di tutto

Lucas Pavanetto, consigliere regionale uscente, sul candidato presidente ha una visione diversa: «Avrei preferito un candidato di FdI, ma la scelta è stata fatta per un motivo preciso: bisognava trovare un equilibrio.

E se vogliamo governare in un centrodestra unito, allora servono anche i passi indietro. I ragionamento di Elena Donazzan funzionano finché sono nell’ottica di partito, non in una coalizione». 

 

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