Falsi appalti nel facchinaggio per 8 milioni: sei imprenditori denunciati

L’indagine della Guardia di Finanza di Treviso, coinvolte aziende in tutto il Veneto. I lavoratori operavano nel rifornimento degli scaffali per la grande distribuzione e nel comparto dell’arredamento. L’accusa è di somministrazione fraudolenta di manodopera

L'indagine è stata condotta dalla Guardia di Finanza
L'indagine è stata condotta dalla Guardia di Finanza

Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale di Treviso, nell’ambito del contrasto alle frodi fiscali e all’interposizione illegale di manodopera, hanno concluso un’indagine che ha riguardato la grande distribuzione e il settore dell’arredamento.

Scoperti falsi contratti d’appalto di servizi per 8 milioni di euro, utilizzati per mascherare illecite esternalizzazioni di maestranze impegnate nel rifornimento degli scaffali in supermercati e nelle operazioni di carico-scarico e imballaggio di mobili. Coinvolte ditte con sedi a Treviso, Venezia e Padova.

Le denunce

Sei imprenditori sono stati segnalati alla Procura della Repubblica per somministrazione fraudolenta di manovalanza, uno anche per emissione di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti.

Sul piano amministrativo, poi, sono state irrogate sanzioni per 350 mila euro per illeciti legati alla violazione della normativa in materia di lavoro.

Le imprese coinvolte nella frode sono sei, tra le quali una cooperativa trevigiana attiva anche nel settore della logistica (con un fatturato medio annuo di 4 milioni di euro) e cinque aziende committenti con sedi tra le province di Treviso (tre), Venezia (una) e Padova (una).

Quello portato alla luce è un fenomeno insidioso e grave, spiegano dalla Finanza, perché riguardante il mondo del lavoro. Le tutele vengono aggirate attraverso un impiego distorto dell’appalto di servizi, stipulato con imprese che provvedono solo formalmente ad assumere i lavoratori e ad assolvere gli obblighi fiscali e contributivi.

In realtà, i rapporti tra committenti e società appaltatrici sono strutturati al solo scopo di “interporsi” tra i lavoratori e le aziende alle cui dipendenze questi ultimi prestano effettivamente la propria attività lavorativa.

Come funzionava

Le indagini, condotte dal Gruppo di Treviso, sono state avviate a seguito di una verifica fiscale nei confronti della cooperativa trevigiana che, nel meccanismo fraudolento portato alla luce, aveva il compito di fornire i lavoratori, un centinaio circa.

Ricostruendo la “filiera della manodopera”, grazie all’esame di molta documentazione informatica e assumendo testimonianze da diversi lavoratori, è stato ricostruito come i rapporti di lavoro con i vari committenti fossero privi degli elementi che caratterizzano la liceità dell’appalto, e cioè il rischio d’impresa e l’organizzazione autonoma di mezzi e risorse.

In primo luogo, da una serie fogli presenze, fogli di calcolo e messaggi di posta elettronica tra la società appaltatrice e le committenti, è emersa l’assenza del rischio, tenuto conto che il corrispettivo dei contratti veniva commisurato esclusivamente al costo orario dei lavoratori somministrati, senza alcun legame a obiettivi di risultato.

In secondo luogo, è stata verificata una vera e propria assenza di organizzazione del lavoro e dell’esercizio del potere direttivo in capo alla cooperativa, cosicché le maestranze somministrate erano etero-dirette, cioè soggette alla gestione e controllo da parte dei committenti. Alla cooperativa appaltatrice restavano in capo solo compiti di natura amministrativa.

In particolare i lavoratori, nell’esecuzione delle prestazioni, soggiacevano alle direttive e alle indicazioni fornite dagli stessi clienti finali della cooperativa, che decidevano le mansioni da svolgere, gli orari e le modalità esecutive.

Da qui l’inesistenza giuridica delle fatture emesse dalla cooperativa, con conseguente recupero dell’imposta sul valore aggiunto indebitamente detratta dalle società committenti.

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