A Verona «colloquio» in carcere cani-padroni
Verona, il veterinario certifica che i quattrozampe soli sono depressi e il direttore autorizza l'incontro: «Non è giusto negare l'affettività». Contrario il sindacato degli agenti penitenziari Osapp

VERONA.
Un affetto che ha travolto anche le barriere di un carcere: è quello tra Briciola e Shony e i loro padroni, due detenuti della Casa circondariale di Montorio Veronese. Per un giorno, grazie alla disponibilità del direttore dell'Istituto, Antonio Fullone, le vite dei due cani e dei loro padroni, in cella per reati contro il patrimonio, hanno recuperato una quotidianità fatta di carezze e giochi nell'erba. I due animali - Briciola, una meticcia fulva, e Shony, un vecchio cane lupo - soffrivano da qualche tempo di depressione per la lontananza dai padroni, due quarantenni dietro le sbarre per reati contro il patrimonio.
Il primo uscirà alla fine del 2011 dopo aver scontato un residuo di pena, l'altro tornerà a casa nel 2013. Tutti e due, in momenti diversi, si sono rivolti al direttore del carcere (a sua volta orgoglioso padrone di Oya, una meticcia di 13 anni) per chiedere di poter riabbracciare l'essere per loro più importante al mondo, il compagno a quattro zampe. «Quando hanno avanzato la domanda di colloquio non con un familiare ma con il loro cane - racconta Fullone - erano emozionati, commossi: io non ho trovato nulla di strano nella loro richiesta, l'avevo già esaudita quando dirigevo il carcere di Perugia». «Non è perché uno sta in carcere gli si deve negare l'affettività», dice il direttore, ricordando di aver voluto reintrodurre da due anni nell'Istituto di pena anche la Festa della mamma, «perché è importante».
A supporto della richiesta, il padrone di Shony ha prodotto un certificato del veterinario che attestava come l'animale fosse entrato in una situazione di grave disagio psicologico dalla quale non riusciva ad uscire. L'incontro a quattro non è stato organizzato nella sala dove di solito si ritrovano i parenti, ma in un'area verde all'interno dell'istituto, usata per far riunire i detenuti con i figli minori. Chi ha assistito al"colloquio", durato più di un'ora, ammette di essersi emozionato: Briciola è sembrata impazzire e ha cominciato a correre per la gioia da una parte all'altra del cortile, saltando addosso al suo padrone. Shony, più riservato, forse anche per l'età, si è seduto a terra composto, quasi a rimproverare chi lo aveva abbandonato per tanto tempo, limitandosi a dimenare la coda e a farsi accarezzare. Quella di ieri non sarà l'unica esperienza del genere: Briciola e Shony potranno tornare in carcere a trovare i loro padroni. «Assolutamente sì», promette Fullone.
Il sindacato peniteziari: "Siamo contrari"
. Il sindacato penitenziario Osapp si dice contrario ai provvedimenti ''che vorrebbero, sic et simpliciter, i cani in cella con i padroni per evitare le ansie da abbandono degli animali''. Secondo il segretario generale dell'Osapp, Leo Beneduci, ''l'esiguità degli spazi, le gravissime carenze del personale e l'inigienicità degli ambienti depongono a sfavore di consimili iniziative che andrebbero ad amplificare i già consistenti disagi della detenzione nelle attuali carceri italiane''. ''Ben altra cosa - sottolinea il sindacato in una notra - è riprendere e se del caso estendere quei progetti, come quello affidato a Massimo Perla a Roma Rebibbia femminile fino al 2005, che mediante il lavoro e la responsabilizzazione, previa adeguata preparazione professionale della popolazione detenuta, vedano il carcere quale luogo in cui allestire iniziative rivolte all'affidamento alle famiglie di cani abbandonati nei canili municipali''.
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