Morti per le esalazioni della fossa biologica: erano lavoratori in nero
Per la tragedia di Santa Maria di Sala la Procura ha aperto un fascicolo per omicidio colposo, al momento, ancora senza indagati

Non erano dipendenti di alcuna ditta, avevano i permessi di lavoro, ma non un contratto: lavoravano, dunque, in nero e non avevano alcun tipo di preparazione specifica - né tantomeno dotazioni di sicurezza – i due operai egiziani che hanno trovato la morte tra i miasmi fognari delle fosse stagnanti che erano stati chiamati a ripulire, nelle pertinenze della grande proprietà al civico 62 di via Desman a Veternigo di Santa Maria di Sala.
E’ questo – al momento – uno dei punti fermi dell’indagine per omicidio colposo avviata dalla Procura di Venezia, dopo la tragedia.
Un fascicolo che è ancora senza indagati.
Perché c’è una domanda alla quale gli investigatori devono trovare una risposta: chi ha chi chiesto al 39enne Sayed Abdelwahab Hamad Mahmoud e all’appena 22enne Ziad Saed Abdou Mustava – e al compagno che era con loro, che si è salvato perché lontano dal pozzetto mefitico – di ripulire le fosse fognarie della villa, sapendo che non avevano alcuna competenza specifica né protezioni per farlo?
Chi li ha chiamati per intervenire? E’ questa la prima risposta che la Procura cerca, per poter iscrivere a registro degli indagati chi il lavoro ha commissionato: atto dovuto, in questa fase, per permettere a lui o a loro (se fossero individuati più committenti) di nominare propri difensori, consulenti medico legali per l’autopsia che il pm Gasparini intende disporre, per chiarire se i due uomini – che erano fuggiti dall’Egitto pochi mesi fa, per cercare in Italia la dignità e sicurezza del lavoro che la loro terra non garantiva – siano morti asfissiati dai miasmi avvelenati delle vasche o per annegamento. In realtà, non cambia il quadro: sono due morti sul lavoro e due vittime del lavoro nero.
La villa con il suo grande parco erano stati venduti in primavera dalla coop Cssa, per per due anni l’aveva affittato alla Coop un mondo di gioia, che si occupa di rifugiati e che l’aveva trasformata in un centro d’accoglienza. Ora la nuova sede è a Mirano e qui soggiornavano anche le due vittime.
Il nuovo acquirente – una signora moldava che nulla c’entra con la tragedia – aveva chiesto che l’immobile fosse sgomberato e ripulito. Così l’ex proprietà ha chiamato una ditta di trasporti e facchinaggio, per portare via il mobilio: anch’essa è totalmente estranea a quanto accaduto, ha chiarito la Procura di Venezia. Non lavoravano per questa ditta i tre operai.
Restava quella dipendenza staccata dalla villa, con le sue fosse da ripulire, memoria della ditta manifatturiera che fu un tempo.
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