Il figlio del maresciallo Daprà: «Nell’abbraccio di Mattarella ho sentito la vicinanza dello Stato»
Christian racconta il suo addio al padre morto nella strage di Castel d’Azzano tra commozione e dignità: «Mio padre era sempre ironico e sereno. Ce la metterò tutta per essere felice come voleva lui»

«Lo so, era un funerale di Stato, ma per me era il modo per salutare papà».
Venerdì 17 ottobre pomeriggio sono rimaste impresse le parole di Christian Daprà, il figlio di Valerio, uno dei tre carabinieri morti nella strage di Castel d’Azzano, quella che il giovane ha definito «un’insensata tragedia». Sabato 18 Christian era in treno, stava tornando a casa, ad Anzio.
Si aspettava di avere questo tipo d’impatto nelle persone che l’ascoltavano?
«Lo so, era un funerale di Stato, ma – ovviamente con tutto il rispetto per i colleghi – per me era anche l’unico momento per salutare mio padre».
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’ha abbracciata. Le ha detto qualcosa?
«Mi è stato vicino, mi ha confortato, ho sentito molto la vicinanza. Gli abbracci sono stati tanti e carichi di affetto».
Le hanno raccontato qualcosa che l’ha resa ancora più fiero di suo padre?
«Tanti si ricordavano bene di lui, anche chi l’aveva incontrato una sola volta. E questo dettaglio mi ha colpito veramente tanto: mi rende orgoglioso sapere che fosse una persona che rimaneva impressa, pure passandoci poco tempo insieme».
Quali emozioni l’hanno attraversata venerdì?
«All’inizio, entrato in basilica, non mi rendevo conto: era l’emotività, erano le giornate difficili, lo strazio. Ma sono riuscito a rimanere composto, e di questo devo ringraziare mia madre, mi è stata molto vicina. Certo, nel discorso ero più preso, più emozionato, ma sentivo anche l’orgoglio di aver detto “papà” per l’ultima volta. E poi ho dovuto tirare fuori più forza possibile quando ho salutato la bara».
La compostezza crede di averla ereditata da suo padre?
«È stata una mia responsabilità di figlio. Mio padre era una persona molto allegra, scherzosa. Aveva sempre la battuta pronta. Chiaramente, per quanto ci provassi, non sono stato in grado in questi giorni di essere allegro allo stesso modo, né scherzoso. Però volevo che chi lo ha incontrato lo ricordasse come una persona che non avrebbe voluto vedere tristezza e pianti. Quindi, per lo meno, ho cercato il più possibile di rimanere composto e di farlo ricordare per quello che era: mi è sembrata una mia precisa responsabilità. I suoi colleghi mi dicono che adesso somiglio molto a lui: voglio che la mia compostezza rifletta quella che lo rappresentava».
Cosa avrebbe voluto suo padre?
«Avrebbe voluto vedermi sorridere, ricordando con gli amici le tante cose belle e i momenti vissuti insieme».
Si aspettata tanta partecipazione dentro e fuori la basilica di Santa Giustina?
«Credo di aver realizzato a cose finite, alla sera, quando siamo rientrati a casa. Ma no, non mi sarei mai aspettato tutte quelle persone, tutto quel sostegno, tutto quell’affetto che abbiamo ricevuto. Credo sia ancora un po’ difficile rendermi conto della situazione: certo, è stato un funerale di Stato, ma io lo percepisco ancora come un normale funerale per un figlio che ha perso il padre. Sto piano piano realizzando anche la grandezza dell’accaduto».
Domani che farà? Come pensa di riprendere le redini della sua vita dopo una settimana così terribile?
«Cercherò di prendere queste redini subito, gestendo meglio che posso il futuro che mi attende. Perché mio padre sarebbe il primo che mi direbbe di andare avanti, e lo farebbe con qualche battuta scherzosa. E ce la devo mettere tutta per vivere bene, per portare avanti tutto ciò che mi ha trasmesso. E per essere felice». —
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