Il vescovo di Vittorio Veneto: «Pronto a incontrare le monache». E lancia l’appello per Gaza
Le prime parole di monsignor Riccardo Battocchio dal suo arrivo nella diocesi, subito toccato l’argomento della fuga dal monastero. E sferza il Prosecco: «Bellissime le colline. Desidererei la stessa cura per le persone fragili»

«L’ordine cistercense e il dicastero non hanno mai voluto chiudere il monastero di San Giacomo».
Lo ha precisato il vescovo di Vittorio Veneto, monsignor Riccardo Battocchio, nel suo primo appuntamento di mercoledì 4 giugno con la stampa, precisando subito dopo di essere pronto a incontrare le religiose che hanno preso casa a San Vendemiano. E magari a invitarle a rientrare.
Don Riccardo, come si fa chiamare, ha anche detto che domenica andrà a votare per il referendum.
Prenderà in mano la situazione del Monastero di clausura?
«Non è compito della diocesi o del vescovo, ma del dicastero per gli istituti di vita consacrata. E non ho ragioni per cambiare quanto detto dalla diocesi il 2 maggio scorso, quando ha ribadito la piena fiducia nell’operato del Dicastero».
Perché l’ex badessa, suor Aline, è stata allontanata?
«So che a suor Aline era stato chiesto di andare temporaneamente in un altro monastero per un’esperienza di formazione. Non era una punizione ma un’offerta di aiuto, accompagnamento e studio rivolta a lei personalmente».
Come giudica il comportamento delle monache che se ne sono andate? È disposto ad incontrarle?
«Hanno fatto una loro scelta, e io non entro nel merito delle loro ragioni. Nei loro confronti assumo uno spirito paterno: ho fatto giungere la disponibilità a incontrarle nei tempi e nei modi che mi sarà possibile. Mi permetto però di osservare che il modo di comunicare attuato da parte di chi ha scelto di uscire del monastero, non mi sembra “disarmato e disarmante”».
Ritiene possibile un loro ritorno in monastero?
«Se davvero desiderano vivere l’esperienza monastica secondo la regola di san Benedetto e la scuola di san Bernardo, sentita anche la commissaria madre Martha, è auspicabile il loro ritorno in monastero nella comunione con la Chiesa che si esprime in maniera concreta anche nell’accogliere le indicazioni del dicastero. Non c’è una chiusura in questo senso, né uno spirito vessatorio, ma si tratta di seguire le indicazioni che permettono di vivere l’esperienza cistercense. Intanto torneranno quattro monache che se n’erano andate nel 2023».
Domenica andrà a votare i referendum, o si asterrà?
«Sono sempre andato a votare. Lo ritengo il minimo per contribuire a una partecipazione democratica. Il diritto al voto è un’eredità preziosa. Come vescovo e come formatore ritengo che non possiamo sottrarci a questo diritto accampando pretesti come la pigrizia, l’indifferenza o “il nobile distacco”. L’auspicio è che ognuno faccia le proprie scelte con consapevolezza, ricordando che ogni scelta ha delle conseguenze».
La Liga veneta è nata tra Bassano e Vittorio Veneto. Come si rapporterà con la politica?
«Non prenderò posizioni ufficiali, ma ho la consapevolezza di vivere una realtà dove le polarizzazioni sono accentuate e dove il clima complessivo sta rapidamente mutando anche in seguito ai nuovi mezzi di comunicazione».
Segue i social?
«Non sono particolarmente social. Mi preoccupa di più essere socievole. I social mi sembra facciano perdere tempo e io non vorrei adoperare i miei anni di vescovado chattando… Piuttosto vorrei promuovere, sostenere, animare chi si occupa di informazione. Facendo quello che è possibile, senza per forza postare interventi su X o Instagram. È un auspicio perché il vescovo ha un pastorale, non una bacchetta magica».
Che cosa l’ha colpita in questi primi giorni?
«La vivacità e la struttura di questa diocesi, la capacità di relazione. Ma ho apprezzato anche la bellezza del paesaggio, la cura per esempio dei vigneti di Prosecco. Desidererei che un’analoga cura, legata al profitto, sia riservata anche per le persone, in particolare quelle più fragili».
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