Vazzoler e Moro, scena muta con il gip

Nessuno ha parlato, tutti e cinque gli indagati a Padova si sono avvalsi della facoltà di non rispondere durante le udienze di convalida. Non c’era nessuna voglia di parlare durante gli interrogatori di fronte al Gip.
Ma Alberto Vazzoler, difeso da Chiara Silva, e Elena Manganelli di Rienzo, assistita dal professor Enrico Ambrosetti, sarebbero pronti a parlare con il sostituto procuratore Roberto D’Angelo. A collaborare. Per lo meno a fornire la loro versione dei fatti.
Sono rimasti in silenzio pure Albert Damiano difeso dagli avvocati Luigi Fadalti e Piergiorgio Sovernigo che hanno già presentato istanza di scarcerazione al tribunale del Riesame. In silenzio pure Silvia Moro, di Roncade, difesa dall’avvocato Chiara Silva. Lunedì c’era stato a Padova l’interrogatorio di Remo Suardi e pure lui si era avvalso della facoltà di non rispondere. Tutti uniti insomma, anche di fronte al giudice. Compatti.
Fondazione Vazzoler. Gli investigatori sono a caccia della Fondazione Vazzoler riconducibile ad Alberto che avrebbe sede al sud d’Italia. Lì potrebbero essere finiti, blindati, i risparmi del finanziere. Per ora è un sospetto, gli investigatori della Guardia di Finanza di Padova, comandati dal colonnello Vittorio Palmese sono a caccia di conferme.
I conti bancari. Dove sono finiti i soldi di Vazzoler? Nel suo conto corrente ci sarebbero solo spiccioli, ma i finanzieri sono convinti che il finanziere - che si sospetta facesse questa attività molto redditizia da anni - li abbia all’estero o comunque ben nascosti. Non solo nella Fondazione.
Un’altra inchiesta. Ma intanto c’è anche un’inchiesta parallela a quella sul riciclaggio internazionale e riguarda i reati fiscali: la formazione dei fondi neri che venivano poi puliti passando attraverso società estere.
I clienti. Le indagini riguardano, in sostanza, i presunti clienti di Alberto Vazzoler: aziende che avrebbero usato il collaudato meccanismo delle false fatture per evadere le tasse e formare le riserve di denaro. Tre sono gli imprenditori citati nell’ordinanza del gip Cristina Cavaggion. La somma più grossa è quella riconducibile a D.R., legale rappresentante della lombarda Smart scarl: oltre 1 milione 61mila euro. Più contenuta la cifra contestata a G.B. e A.S. alla guida della cooperativa Assistance, anch’essa lombarda: 203 mila euro. Infine, altri 264 mila euro sono collegati ad A.Z., legale rappresentante della Zovam di Caltanissetta, specializzata in apparecchi biomedicali. L’ipotesi degli inquirenti è che i tre manager abbiamo usato false fatture emesse da società cartiere, allo scopo di produrre il nero che poi veniva affidato a Vazzoler & C per essere ripulito.
Le società degli indagati. Sono svariate le aziende attraverso cui transitava il denaro e riconducibili all’imprenditore sandonatese. C’è, tra le altre, la Karat Trading di cui gli inquirenti hanno trovato traccia in un file excel “catturato” col programma spyware dal pc in uso a Vazzoler. Da tale documento, rileva l’ordinanza, emergerebbe il coinvolgimento dell’imprenditore nella gestione della società. A testimoniarlo, in particolare, ci sarebbe il bonifico da 350 mila euro fatto in suo favore nonché il pagamento di 37 mila euro a un’agenzia viaggi per gli spostamenti dello stesso (Vienna, Praga, Bratislava). Altro denaro esce dalla Karat verso i conti di Elena Manganelli e delle società Chrysos Doo (487.875 euro) e Processus Doo (129.875). Si tratta di aziende croate «utilizzate come ponte per il trasferimento delle indebite compensazioni compiute dai legali rappresentanti delle coop Smart e Assistance», rilevano gli inquirenti. Soldi vanno anche alla Loomis International, un’altra società riconducibile agli indagati. Si tratta - è il sospetto degli investigatori - della società utilizzata per trasportare il denaro contante da Dubai verso la Svizzera. In una conversazione intercettata, Manganelli spiega a Vazzoler i dettagli del trasferimento di contanti: «Quando la Loomis va a prendere il sacchetto mi parte una mail automatica (dall’ufficio cambi) con un conteggio di quanti soldi ci sono dentro. Quando i soldi vengono caricati sull’aereo mi parte un’altra mail direttamente dalla Loomis che mi dice il numero di cargo, il numero di volo e tutto quanto. Poi, il giorno dopo, mi scrive che è atterrato, quindi io ho proprio tutto e se mi manca qualcosa glielo chiedo».
Il “processino”. Ma Vazzoler e gli altri erano al corrente della provenienza illecita del denaro fatto circolare? Gli inquirenti sono convinti di sì. Tanto che Vazzoler suggerisce al manager A.Z. alcuni accorgimenti nelle comunicazioni: «Skype», gli dice, «è stato fatto da un programmatore estone che lavorava con la Cia, quindi è assolutamente non intercettabile. L’unica cosa che possono farti e metterti una spia dentro il pc». Il 17 marzo 2017 i due sono allo Sheraton insieme a Manganelli: A.Z. è preoccupato che scoprano il meccanismo delle fatture false tramite una società olandese. Vazzoler lo rassicura sostenendo l’irrealizzabilità delle rogatorie: «Devi trovare uno che vuole andare fino in fondo. Devono fare quattro rogatorie! E poi devono provare che si tratta di fatture false». Anche Manganelli tenta di rasserenare il manager: «Una falsa fattura...processino ...patteggi».
Ulisse da Conegliano. Precedentemente, il 3 febbraio, Vazzoler intercettato al ristorante Da Giovanni di Padova insieme a Damiano parla di un tal Ulisse, «quello degli assegni falsi» che è arrivato da Conegliano perchè aveva delle persone «che hanno il solito cambio di soldi».
Carlo Bellotto
e Sabrina Tomè
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