Unabomber, l'ombra dei servizi segreti

L'Espresso rivela: una soffiata fece fallire la trappola degli inquirenti dopo l'attentato di Motta
Sopra, l’avvocato Paniz. A destra i carabinieri nel Duomo di Motta
Sopra, l’avvocato Paniz. A destra i carabinieri nel Duomo di Motta
 
TREVISO.
Una trappola per incastrare Unabomber. Gli investigatori del pool che indagava sul misterioso attentatore del Nordest la tesero dentro al Duomo di Motta di Livenza. Ma una soffiata - o più semplicemente una casualità - impedì agli investigatori di portare a compimento il piano. Unabomber, che tra il 1995 e il 2005 terrorizzò il Nordest, non fu mai individuato.
 Monsignor Roberto Tubiana, per molti anni titolare del Duomo di Motta di Livenza, se ne è andato lo scorso febbraio all'età di 88 anni. Il pool di investigatori si è sciolto da tempo, tornato ciascuno ai propri reparti. I magistrati, cui è mancata probabilmente anche una continuità investigativa, si occupano di reati comuni. L'unico processo che si è celebrato finora sulla vicenda è quello a carico di un investigatore, il responsabile del Laboratorio indagini criminalistiche della Procura di Venezia, il poliziotto Ezio Zernar: accusato di aver manomesso un lamierino di ottone per indirizzare le indagini a carico dell'indiziato principale Elvo Zornitta, ingegnere di Azzano Decimo. Il poliziotto è stato condannato a due anni di reclusione per falso e frode processuale, l'ingegnere prosciolto.  Il settimanale L'Espresso svela ora un particolare finora inedito: nel marzo 2006, dopo quasi un anno di «silenzio» dinamitardo da parte di Unabomber, gli investigatori decisero di tendere una trappola al misterioso terrorista. Dopo aver incrociato i dati sugli attentati, gli investigatori si convinsero che il prossimo colpo sarebbe stato all'interno di un tabernacolo, per colpire probabilmente il parroco nel momento in cui preleva le ostie. Poche ore dopo il vertice investigativo che decise di piazzare le telecamere dentro la chiesa di Motta, qualcuno ruba le chiavi del tabernacolo. Un episodio che gli investigatori collegarono immediatamente a una fuga di notizie interna al pool, che di fatto vanificò tutto il lavoro preparatorio che aveva portato ad escogitare la trappola. Anche il magistrato che conduceva le indagini si chiese se la circostanza fosse frutto di casualità oppure fosse da leggere come un «avvertimento» a non avvicinarsi troppo alla misteriosa figura di Unabomber.  Unabomber colpì in tutto ventinove volte: in 20 casi gli ordigni - contenuti in tubi di ferro, ovetti di cioccolato, tubetti di pomodoro, lumini da cimitero - esplosero, in nove l'ordigno non funzionò. Nel Trevigiano quattro volte: il 2 novembre 2001 nel cimitero di Motta di Livenza, quando un cero votivo esplose sul volto di Anita Buosi; il 25 aprile 2003 a Fagarè della Battaglia, dove un pennarello evidenziatore esplose in mano alla bimba di 9 anni Francesca Girardi; il 26 maggio 2005 in via Verdi a Treviso, quando un ovetto Kinder calciato per gioco da un ragazzo della scuola media di Badoere esplosa senza ferire nessuno; il 13 marzo 2005 nel Duomo di Motta di Livenza dove, al termine di una messa, la piccola Greta di sei anni accende una candela votiva che le esplode in mano. Il 7 novembre del 2000 la trevigiana di Cordignano Nadia Ros, che aveva fatto la spesa in un iper di Portogruaro, viene ferita dall'esplosione di un tubetto di pomodoro.  Adesso anche Maurizio Paniz, il legale dell'ingegnere friulano che per quattro anni fu accusato di essere Unabomber, rilancia: «Sono e resto convinto che l'esame del lamierino non sia stato approfondito. Noi ci siamo accorti, all'epoca, che era misurato in pollici e confezionato con prodotti acquistabili solo sul mercato sassone. Il collegamento con il mondo sassone, per me, era abbastanza evidente. Andava indagata la pista legata alla base americana di Aviano».

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso