Un super reparto per le virosi «Ecco come ci teniamo pronti»

Nuove cure, un algoritmo per i casi sospetti, il dottor Pier Giorgio Scotton racconta cosa succederà

Il reparto di Malattie Infettive dell’ospedale Ca’ Foncello resterà un “avamposto” nella gestione dei malati Covid semmai il virus, che si dice potrà circolare almeno per altri due anni, dovesse ripresentarsi in autunno. Un super reparto, insomma, attrezzato per affrontare il grande problema sanitario del nostro tempo: le malattie virali nel mondo globalizzato. «Abbiamo imparato che la globalizzazione ha facilitato in maniera istantanea la diffusione di agenti infettivi, che sono difficili da prevedere. Quello che possiamo fare è trovarci maggiormente pronti ad ulteriori assalti infettivi e non lasciarci cullare dalla speranza che la prossima pandemia arriverà tra un secolo» dice il primario dell’Unità Operativa Malattie Infettive dell’ospedle Ca’ Foncello di Treviso, Pier Giorgio Scotton.

Lei dirige il reparto che in questi due mesi è stato epicentro delle cure ai malati Covid. Come è stata per lei questa esperienza?

«Un’esperienza straordinaria, ho vissuto la disponibilità incondizionata di tutto il personale che è stato incrementato con alcune unità a tempo pieno e con l’appoggio di numerosi medici di altri reparti che hanno dedicato alcune settimane per sostenere le prime fasi più concitate. Dal punto di vista professionale sono stato privilegiato a partecipare in prima linea ad una pandemia di tale dimensione, con i suoi aspetti scientifici e culturali; la mia lunga esperienza mi ha condotto ad un evento di portata secolare. Di una cosa sono particolarmente orgoglioso: nessuno degli operatori sanitari che hanno lavorato in malattie infettive ha acquisito il Covid 19».

Un episodio che non potrà dimenticare?

«La solitudine nella quale sono morti diversi anziani, alleviata solo dal conforto degli operatori sanitari che per necessità si sono sostituiti agli affetti dei familiari. A volte l’unica cura è la presenza e la comprensione della drammaticità del momento».

Nel suo reparto resteranno disponibili 60 posti letto per i pazienti Covid nell’eventualità di una ripresa del contagio. In ogni caso le virosi anche pandemiche potrebbero accompagnare il nostro futuro. Il suo reparto diventa strategico. Come cambierà?

«C’è stato un momento in cui l’ “arroganza scientifica” ha pensato che le malattie infettive potessero essere domate ed eliminate. Invece dobbiamo umilmente prepararci ad affrontarle e contenerle. Basti pensare all’enorme problema della resistenza agli antibiotici. L’esperienza del Covid 19 ha portato ad un potenziamento del reparto che attualmente è disposto in due piani della palazzina costruita 20 anni per le Malattie Infettive. L’importante è mantenere la possibilità di reagire in tempo reale alla comparsa di qualsiasi malattia infettiva sia per disponibilità di posti letto che di competenze. Se si individua la causa dell’infezione è possibile fare una terapia mirata con buone possibilità di successo».

Il reparto è stato potenziato nei fatti con nuovi medici e personale?

«Da 8 medici più il responsabile siamo passati a 14, che costituiscono un numero equilibrato per realizzare tutte le attività previste dalla unità operativa. Per quanto riguarda il personale non medico, siamo passati da 18 infermieri e 5 operatori socio sanitari rispettivamente a 57 infermieri e 37 . Abbiamo avuto una risposta importante e tempestiva dell’azienda alla galoppante emergenza».

Come verranno gestiti i pazienti con sintomi sospetti in futuro, quando al Covid 19 non penseremo più?

«Il problema adesso è la gestione dei casi sospetti di Covid 19. La presentazione clinica di questi casi è molto variegata e poi esiste il problema dei pazienti asintomatici. La strategia con cui confermare o escludere un caso sospetto non è codificato e semplice. Dal momento che siamo stati incaricati di definire tale strategia per mettere per quanto possibile in sicurezza l’ospedale, stiamo cercando di definire degli algoritmi che consentano di selezionare i pazienti per quanto riguarda il rischio di avere il Covid 19. Stiamo attenti però a non fare ruotare tutta la medicina attorno a questo perché rischiamo di trascurare gravi patologie: il paziente può avere anche qualcos’altro».

Come funziona l’algoritmo che seleziona i pazienti?

«In base a determinati fattori di rischio (soprattutto epidemiologico) e al quadro clinico e strumentale si assegna un punteggio da 0 (assenza di sospetto di Covid 19) a 3 (alto sospetto). Questo consente di definire la gestione del paziente per quanto riguarda le indagini da eseguire e soprattutto di decidere quali modalità di isolamento/precauzioni adottare nel nostro reparto ed in altri reparti dell’ospedale. Particolarmente rilevante è se il paziente deve essere tenuto in isolamento da solo o può condividere la stanza con un altro paziente».

Da voi è operativo da 20 anni un ambulatorio per le Malattie Tropicali, sta lavorando anche sul Covid e sui virus che effettuano il salto di specie?

«È più corretto nominarlo del viaggiatore internazionale perché il paziente può ammalarsi in ogni regione del globo. Da sempre costituiscono una parte importante delle attività del nostro reparto: sono malattie neglette, poco studiate e finanziate. Però danno problemi importanti e ci stanno mettendo in guardia sulla loro diffusione in zone precedentemente esenti (dengue, zika, west nile, malaria). L’habitat dove alcuni virus riescono a fare il salto di specie è l’Africa centrale e il Sud Est asiatico; da queste zone poi alcuni virus riescono a diffondersi anche nel resto del mondo (influenza, coronavirus, ebola, etc)».

State lavorando anche sul piano della ricerca scientifica sul Covid 19?

«Stiamo partecipando ad uno studio sul Tocilizumab, un farmaco antinfiammatorio molto promettente nelle forme polmonari severe di Covid 19. Sono stati sottoposti al trattamento 20 pazienti; di questi 10 sono stati arruolati per uno studio clinico nazionale tuttora in corso per verificare l’efficacia del farmaco nel prevenire il peggioramento della malattia e quindi il trasferimento in Rianimazione. Poi stiamo realizzando, con la Regione, un modello di monitoraggio della possibile tossicità cardiaca di alcuni farmaci utilizzati per il Covid 19, come la idrossiclorochina, la azitromicina e gli inibitori delle proteasi. Bisogna però ricordare come molti atri farmaci correntemente utilizzati nelle terapie di pazienti con più patologie possono manifestare tossicità cardiaca».

Quanti pazienti avete avviato a terapie sperimentali?

«Sino ad ora il nostro ambulatorio Covid 19 ha seguito più di cento pazienti e quasi tutti sono stati avviati precocemente alle terapie sperimentali autorizzate dall’Aifa». —

marzia borghesi

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