Treviso, terreno venduto da un boss mafioso: bloccata la cava di Fassa Bortolo in Sicilia

L’azienda ha violato il Protocollo di legalità, autorizzazione revocata. Ora il ricorso al Tar. La difesa: «Non lo conoscevamo»

TREVISO. Giuseppe Pecorino, imprenditore agricolo siciliano di 77 anni, ha riportato una condanna in via definitiva per associazione mafiosa. Arrestato più volte, è ritenuto dagli inquirenti un elemento di spicco della costola di Enna di Cosa Nostra. Non lo sapeva, il colosso trevigiano dell’edilizia Fassa Bortolo, quando nel 2018 sottoscrisse con lo stesso Pecorino un atto di compravendita di un terreno ad Agira, dov’era in programma un maxi investimento da 25 milioni di euro per una cava di calcare. Era, appunto, perché oggi quel progetto non c’è più: la Regione Sicilia ha ritirato l’autorizzazione a Fassa Bortolo perché è stato violato il Protocollo di legalità. 

«Non sapevamo nulla». Con l’acquisto del terreno si configura infatti un vantaggio economico a favore di un condannato per mafia. Motivo sufficiente per annullare l’autorizzazione concessa dalla Regione - dopo infinite polemiche - lo scorso 15 giugno 2018. L’azienda si è vista quindi bloccare un investimento milionario che avrebbe portato sul territorio una ricaduta occupazionale di circa cento posti di lavoro. Fassa Bortolo ha presentato ricorso al Tar nelle scorse settimane e ora attende il pronunciamento del tribunale amministrativo. «Precisiamo che si tratta di un solo venditore tra i molti dai quali sono stati acquistati quei terreni» si difende l’azienda, «la condanna per mafia era una cosa che non potevamo conoscere».

Il ricorso. Anche su un altro punto la società trevigiana intende dare battaglia nelle aule di tribunale. Al momento della firma sul contratto preliminare di vendita, nel giugno 2016, il proprietario del terreno risulta essere infatti un figlio di Pecorino cui la proprietà è arrivata tramite donazione. L’atto di compravendita vero e proprio viene firmato a maggio 2018, dopo che quella donazione era stata dichiarata nulla. Non è bastato a convincere la Regione Sicilia e in particolare il distretto minerario di Caltanissetta, che risponde all’assessorato all’Energia.

L’odissea. Questo è il settimo anno di “odissea” della Fassa Bortolo per la cava di Agira. Il primo stop, a progetto già ben avviato, arrivò a febbraio 2017, quando la Sovrintendenza fermò la riapertura della cava in quanto il sito era di interesse archeologico. Il titolare, Paolo Fassa, inveì contro la burocrazia italiana: «Se non si sblocca questa situazione, su quell’isola lascerò solo gli avvocati» aveva detto due anni fa. È andata anche peggio. Sul web è partita una raccolta firme per bloccare il progetto. Quando anche l’ultimo ostacolo sembrava superato, con l’autorizzazione della Regione arrivata l’estate scorsa, la doccia fredda di quel terreno venduto al boss mafioso. Dalle parti di Spresiano, dove ha sede l’azienda, sono convinti che ci sia chi “rema contro” il progetto ad Agira, sito appetito anche da molti competitor del settore. 
 

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