Treviso non mi vuole? E io vado a Shanghai
Storia di Silvia Sartori, 32enne trevigiana, che oggi risiede a Shanghai. Il suo caso è stato raccontato anche sulle pagine del Time Magazine, che ne ha fatto il simbolo di un'Italia che perde i suoi giovani di talento.

L'Italia continua a «perdere teste». E la provincia di Treviso non fa differenza. Laureati da anni o da pochi mesi gli elementi più brillanti cercano opportunità all'estero. Le cause? Sempre le stesse: un mercato del lavoro immobile, un sistema sempre più clientelare. Il tutto aggravato da un decennio di stagnazione economica, da una crisi che sembra non aver fine.
A cambiare è la terra delle opportunità: se un tempo erano Londra, Parigi o Barcellona ora i giovani talenti puntano ai paesi in via di sviluppo.
E' il caso di
Silvia Sartori
, 32enne trevigiana, che oggi risiede a Shanghai. La sua storia è stata raccontata anche sulle pagine del
Time Magazine
che ne ha fatto il simbolo di un'Italia che perde i suoi giovani di talento.
Oggi responsabile di un progetto di cooperazione internazionale finanziato da EuropeAid (Commissione Europea) sull'edilizia e l'ambiente in Cina, Silvia aveva cercato di tornare in Italia: un'odissea durata un anno poi la decisione di tornare definitivamente in Asia.
Il tuo curriculum fa invidia, le esperienze lavorative non sono da meno...
Dopo un primo impiego in una multinazionale con sede ad Asolo, nel 2005 ho avuto l'opportunità di uno stage di sei mesi a Pechino, dove ho imparato il cinese. Poi ho trascorso due anni alla Camera di Commercio Europea a Shanghai nel ruolo di Marketing and Events manager, poi un incarico di sei mesi a Tokio, e il ritorno in Cina in occasione delle Olimpiadi con un lavoro come assistente e interprete a Casa Italia.
Dopo più di tre anni in Asia, nel 2008 hai deciso di tornare in Italia per mettere a frutto le tue competenze. Com'è andata?
Un disastro. Pochi colloqui, le proposte che avrei potuto ricevere dopo il diploma di maturità. Era come se tutti gli anni trascorsi all'estero, l'esperienza, la versatilità, la conoscenza delle lingue non contassero nulla. In Italia purtroppo devi essere etichettabile: sei ingegnere, medico, architetto. Nei formulari delle agenzie interinali non sono previsti nemmeno una casella ad hoc per una persona come me: rimanevo sempre nella voce «altro». La trasversalità delle competenze qui è un disvalore, contrariamente a ciò che accade all'estero. Dopo un anno perso ho puntato ancora all'Oriente dove ora svolgo un lavoro qualificato.
Cos'è che rende il mercato del lavoro cinese così appetibile per un giovane talento come te?
E' dal primo giorno che lavoro in questo paese che mi sveglio la mattina e vedo davanti a me un orizzonte. Ogni giorno quello che faccio porta ad un passo in avanti, concreto e visibile. Qui in Cina la gente ha un approccio pragmatico, obbiettivi chiari, che raggiungono. E' un paese in via di sviluppo e sono consapevole che l'assetto organizzativo e decisionale cinese sia profondamente diverso da quello italiano: ma è tangibile la voglia di cambiamento, lo sforzo congiunto, l'orgoglio di appartenere a questo paese. In Italia invece la gente è rassegnata, nessuno ha voglia di tirarsi su le maniche perché non si vedono risultati.
Sei tornata in Cina da più di due anni, a quali condizioni torneresti in Italia?
Un pacchetto altamente remunerativo, un lavoro di respiro internazionale, colleghi efficienti e illuminati, con visione, spirito meritocratico, profilo internazionale...
Ipotesi possibile?
Sono un persona realistica. Nel nostro paese torno volentieri in vacanza. Il problema è il lavoro e la realizzazione personale. Non so dove mi porterà il futuro: intendo continuare ad occuparmi di programmi di cooperazione internazionale ma vorrei passare al settore umanitario e di gestione di crisi: rifugiati, emergenze internazionali, ricostruzione post-conflitto. Forse non resterò in Cina, ma di sicuro non tornerò in Italia.
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