Treviso, l'allarme dello psichiatra: «Uso di sostanze sempre più diffuso,c’è chi inizia a 13 anni»

TREVISO. Cocaina, eroina, hashish. Ma anche alcol, tanto alcol e fin da giovanissimi, per “fare gruppo”. Di dipendenze si muore e ci si ammala anche, sempre di più e a un’età sempre più bassa, e il problema è che queste dipendenze sono sempre più accettate socialmente. È il ragionamento del dottor Gerardo Favaretto, specializzato in Psichiatria, a lungo direttore dei Servizi sociali nell’ex Usl 9, direttore del Centro di salute mentale a Pieve di Soligo, poi alla guida del dipartimento che si dedica alla cura e al trattamento delle malattie psichiatriche nell’Usl 2.
L’uso di sostanze da parte dei giovani, e le tragedie connesse, stanno aumentando: è solo un’impressione?
«Dal nostro osservatorio sui disturbi mentali abbiamo notato che l’uso di sostanze nei giovani sta diventando una delle concause più importanti nel determinare disturbi mentali seri e gravi. Ci è capitato di avere tra le persone ricoverate molti ragazzi il cui problema è sorto proprio a causa della dipendenza da queste sostanze. Non saprei dire se c’è una recrudescenza nell’ultimo periodo, il fenomeno dura da diverso tempo. Semmai oggi c’è un problema di disponibilità delle sostanze, che sono molto più facilmente reperibili, e sono considerate, all’interno del gruppo, come pratica più ammissibile rispetto a un tempo».
Quando parla di “sostanze” a cosa si riferisce?
«Cannabinoidi e derivati dell’hashish, tutte le droghe sintetiche, ma anche l’alcol. La cocaina, per esempio, è una sostanza che incontriamo di frequente perché è una di quelle che più facilmente determina scompensi di tipo mentale. È una delle sostanze che spesso si trovano dietro a situazioni di grave agitazione, scompensi, comportamenti aggressivi. Unita a una fragilità di fondo dell’individuo».
Perché dice che è una pratica più “ammissibile” di una volta?
«Ovviamente parliamo della cultura del gruppo. Una volta chi usava queste sostanze si escludeva, faceva circuito a parte. Oggi non è così. Pensiamo alle assunzioni incongrue di alcol in quantità notevole e dannosa. Quando, all’interno di un gruppo, ci sono più soggetti che hanno sperimentato un comportamento del genere, allora anche agli occhi degli altri diventa una cosa meno strana».
Si è abbassata l’età di accesso alle sostanze?
«Questo è un dato di fatto, ce lo dicono tutte le ricerche e i dati a disposizione, oltre alla nostra esperienza personale. Il primo contatto avviene a un’età sempre più precoce, abbiamo storie di persone che dicono di aver iniziato a 13-14 anni con le più svariate sostanze, dai cannabinoidi alle droghe sintetiche. Più precoce è l’utilizzo, maggiori sono i danni a livello cerebrale. A 15-16 anni lo sviluppo è ancora in piena formulazione».
Tra queste sostanze lei ha incluso anche l’alcol. Non ne stiamo sottovalutando la pericolosità?
«È un discorso complesso, ma dal mio punto di vista sì. La pratica di bere in maniera compulsiva e senza limite, considerata in qualche maniera un’attività consueta all’interno di certi gruppi, può comportare danni notevoli anche dal punto di vista fisico. In generale, pratiche di questo tipo si autoalimentano. Spesso un abuso di questo tipo porta a conseguenze significative.
Chi e come deve chiedere aiuto quando si è in presenza di una dipendenza da sostanze di qualsiasi tipo?
«La rete dei servizi territoriali dell’Usl 2 include i Servizi per le dipendenze. L’accesso è totalmente anonimo. Vi si possono rivolgere sia i diretti interessati che i familiari, nel sito dell’azienda sanitaria ci sono gli indirizzi e i numeri di telefono di tutte le sedi, che sono dislocate in ogni distretto. Funzionano sia da punto di ascolto che di valutazione. L’accessibilità è stata semplificata al massimo, proprio perché l’intervento precoce è fondamentale».
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